Il presidente dell’Istat lo ha ribadito al Parlamento impegnato nella legge di Bilancio: le liste d’attesa sono troppo lunghe e l’alternativa è il privato.
La Cassazione ha respinto i ricorsi: i vertici del canile chiuso nel 2012 sono stati condannati per maltrattamento e uccisioni di beagle senza necessità.
La battaglia legale ora è davvero finita: i proprietari della Green Hill, il canile lager di Montichiari, in provincia di Brescia, sono stati definitivamente ritenuti colpevoli di maltrattamenti e uccisioni senza necessità di centinaia di cani di razza beagle. La Corte di Cassazione, infatti, nell’ultimo grado di giudizio del processo ha respinto il ricorso presentato dagli imputati, confermando le condanne: un anno e sei mesi al medico veterinario Renzo Graziosi e al co-gestore Ghislane Rondot, un anno al direttore Roberto Bravi. Tra il 2008 e il 2012 all’interno del centro Green Hill si erano verificati, per mancanze di cure adeguate, 6.023 casi di morti di beagle: all’interno dell’allevamento, come dimostrato dalle indagini, un unico veterinario si occupava di quasi 3 mila cani, e solamente in orari diurni.
#IOSTOCONIBEAGLE ?
Green Hill, la Cassazione rigetta il ricorso: una condanna definitiva destinata a fare storia ✌️ https://t.co/2wDePp3jp6— LAV (@LAVonlus) 4 ottobre 2017
Grande la soddisfazione della Lega anti-vivisezione, che dopo la chiusura del centro nel 2012 era stata scelta quale custode giudiziario dei 3mila beagle che in buona parte sarebbero stati destinati a morte certa, anche per vivisezione, e che erano stati affidati ad altrettante famiglie italiane: “Tutti i 3.000 beagle sono salvi per sempre e non rischiano più di tornare nelle mani di chi li allevava e maltrattava”. Secondo la Lav “dal punto di vista giuridico si è stabilito che il maltrattamento degli animali non è giustificabile neanche in un allevamento di cani destinati alla sperimentazione. Questo punto costituisce un precedente straordinario che ci permetterà di difendere i diritti dei tanti altri animali che ogni giorno soffrono negli allevamenti italiani. A partire proprio da quelli allevati per la sperimentazione”.
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