Marta Pappalardo, geomorfologa, su Livorno: “Se un’alluvione diventa tragedia, la colpa è sempre dell’uomo”

Dopo la tragedia causata dal nubifragio che ha colpito Livorno è sempre più chiaro che “la responsabilità è dell’uomo, basta con gli alibi e con la cultura dell’emergenza”. L’intervista alla geomorfologa.

Superamento dell’approccio emergenziale, responsabilizzazione dell’uomo e necessità di un dialogo tra scienza e politica: sono questi i concetti su cui insiste Marta Pappalardo, geomorfologa (la geomorfologia è la scienza che studia le forme della crosta terrestre e  i fenomeni che ne operano le modificazioni) dell’Università di Pisa, all’indomani del fortissimo alluvione che ha colpito la città di Livorno e i suoi dintorni provocando alcune vittime e molti danni. Parole che hanno avuto una eco anche in quelle del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, che in visita a Livorno, ha detto che quanto successo “è colpa dei cambiamenti climatici ma non solo” e che casi che catastrofi che si ripetono ormai da anni, come a Livorno e Genova, “non possono essere chiamate emergenze”.

Anche lei è convinta che l’ennesima alluvione che colpisce l’Italia non può essere più affrontata solo come un’emergenza.
Indubbiamente Livorno ha delle criticità ambientali in occasioni di questo tipo di eventi, che non sono ordinari ma che comunque possono accadere. Il problema è che la città è molto vulnerabile, evidentemente questi corsi d’acqua tombati non sono in grado di reggere eventi che non sono nella media. Ma questo è più un problema di pianificazione territoriale che ci portiamo dietro da decenni e sarebbe il caso di prendere provvedimenti strutturali.

In parlamento giace da tempo una proposta di legge sul consumo del suolo, sarebbe utile approvarla?
Non so se una sola legge potrebbe essere sufficiente, di sicuro qualunque cosa si cerchi di fare è positiva. Bisogna smettere di pensare a questi eventi in termini di emergenza: dobbiamo adattarci a questa situazione e intervenire con provvedimenti che migliorino il servizio di protezione civile, e per sensibilizzare la popolazione che ha una consapevolezza ancora non piena della situazione. Ben venga ogni iniziativa  finalizzata a mitigare il dissesto idrogeologico.

Ormai ogni volta che si ripete un evento di grande portata come quello di Livorno si dà la colpa ai cambiamenti climatici, quasi con fatalismo…
La tendenza è quella di cercare di dare alla natura colpe che non ha: le colpe sono nostre, di cattiva edificazione e speculazioni. L’esistenza di una modificazione della composizione dell’atmosfera terrestre è facilmente dimostrabile, è impossibile negare le emissioni di sostanze inquinanti nell’atmosfera. Ma il rischio è considerare questa cosa come l’unica responsabile di quello che succede. Non tutti i ricercatori sono d’accordo sul fatto che sia aumentato il numero di fenomeni atmosferici così potenti, ma comunque il grosso della colpa è dovuto alla cattiva pianificazione. Non è saggio insistere solo sui cambiamenti climatici.

Se lei fosse un politico, quale sarebbe la prima cosa su cui interverrebbe per iniziare un processo di lotta al dissesto idrogeologico?
Il mio primo suggerimento alla politica è iniziare un dialogo con la comunità scientifica, finalizzato a comprendere gli input che possiamo dare al mondo della politica. aprire dei tavoli di confronto. I geomorfologi hanno acquisito una quantità enorme di dati che però sono difficili da trasferire alla politica. Per quanto siano poche, ci sono delle risorse che vengono investite nella ricerca ma bisogna far sì che abbiano un ritorno.

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