Le conseguenze del referendum in Crimea

Il risultato del referendum in Crimea ha visto la vittoria di coloro che vogliono tornare russi. Ma la consultazione non è stata convocata nel modo migliore.

Il referendum che si è tenuto domenica 16 marzo nella repubblica autonoma della Crimea, in Ucraina, ha visto una netta vittoria (con quasi il 97 per cento, per un’affluenza dell’82,7 per cento) di coloro che chiedono un ritorno di sovranità della penisola che si affaccia sul mar Nero alla Russia. La Crimea venne ceduta nel 1954 all’Ucraina (quando era una delle repubbliche socialiste sovietiche) dall’allora presidente dell’Unione Sovietica Nikita Krusciov per festeggiare i trecento anni di unione.

 

Il risultato verrà sottoposto oggi ufficialmente al parlamento della Crimea per poi essere preso in considerazione da quello russo (la Duma) venerdì 21 marzo. Intanto Ucraina, Stati Uniti e Unione europea hanno dichiarato che si tratta di un referendum illegale, illegittimo e che non verrà riconosciuto perché contrario al diritto internazionale. Nel caso di un’annessione, il presidente americano Obama ha fatto sapere che studierà la possibilità di sanzioni insieme agli alleati europei.

 

La consultazione dei quasi due milioni di abitanti della Crimea era stata convocata dal parlamento in condizioni discutibili visto che non c’è stato il quorum e il testo della risoluzione non è stato reso pubblico fino alla sua adozione, mentre le strade erano sotto il controllo di miliari e paramilitari russi. Inoltre non è stato in nessun modo concordato con il governo e le istituzioni ucraine.

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha detto il 4 marzo che “solo i cittadini che vivono in un determinato territorio possono e devono decidere del loro futuro. Questo diritto è stato concesso agli albanesi del Kosovo. Il diritto delle nazioni all’autodeterminazione è riconosciuto nei documenti delle Nazioni Unite e nessuno lo ha modificato”. Va precisato, però, che tale diritto prevede tre eccezioni: la dominazione coloniale, i regimi di segregazione razziale come l’apartheid e l’occupazione straniera. Anche se questa avviene senza che si verifichino scontri.

 

Le parole di Putin lo mettono in una situazione quantomeno ambigua visto che il Cremlino non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia dichiarata in modo unilaterale nel 2008 e che all’interno del territorio russo esistono situazioni analoghe che sono state messe a tacere anche con la forza. Basti pensare alla Cecenia. Un’ambiguità, quella russa, che sembra mettere in secondo piano il vero fine dei principi sanciti dal diritto internazionale che dovrebbero rendere i comportamenti di ogni stato prevedibili e non soggetti a interpretazioni a seconda dei casi e degli attori che chiamati a rispettarli.

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