Acqua

Il water defender Reza Sahib e la lotta contro le privatizzazioni dell’acqua in Indonesia

Parla il water defender Mohammed Reza Sahib, che in Indonesia porta avanti la lotta per il diritto all’acqua come bene pubblico ed è uno degli attivisti che ha contribuito allo stop storico della privatizzazione dell’acqua nel paese.

a cura di Emanuele Bompan

“Il popolo vince l’appello della Corte suprema contro la privatizzazione dell’acqua“. Con questo titolo apriva a caratteri cubitali il Jakarta Post, tra i principali quotidiani nazionali indonesiani, il 10 ottobre 2017. In poche ore la notizia si tramuta in un tam-tam mediatico sui social di ricercatori, giuristi, organizzazioni non governative e think tank mondiali, impegnati sulla violazione del diritto all’acqua.

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“Un risultato storico per la lotta del diritto all’acqua come bene pubblico”, spiega Muhammad Reza Sahib, 43 anni, attivista dell’organizzazione Kruha e una delle menti dietro lo stop storico alla privatizzazione delle risorse idriche, una sfida che però ancora oggi, sotto traccia, continua. Abbiamo raggiunto il water defender nella sua abitazione a Jakarta per conoscere meglio questa grande lotta.

Muhammad Reza Sahib , water defender indonesiano ©Sahib
Muhammad Reza Sahib , water defender indonesiano ©Sahib

La privatizzazione dell’acqua in Indonesia

La grande privatizzazione delle risorse idriche indonesiane inizia nel 1997 sotto la presidenza Suharto. Il suo governo aveva messo come priorità la privatizzazione delle società pubbliche. È il periodo della crisi delle tigri asiatiche e il Fondo monetario internazionale detta legge a tutti gli stati che necessitano prestiti tramite i piani di aggiustamento strutturale (Sap). Tra le condizioni poste a garanzia di un prestito di 92 milioni di dollari al governo indonesiano, viene chiesta la partecipazione del settore privato alla gestione idrica di Jakarta e dei suoi dieci milioni di abitanti.

“Era l’inizio dei partenariati pubblico-privato (Ppp) della gestione dei servizi, creando un nuovo modello negli accordi commerciali  governo-imprese”, spiega Reza, che preferisce sempre si usi il suo secondo nome. “Banca mondiale e Fondo monetario internazionale imposero, in Indonesia come altrove, una svolta neoliberista anche nell’acqua, inserendone la privatizzazione nel pacchetto di riforme macroeconomiche”.

Famiglie lasciate senz’acqua

Nel 2005 viene approvata una legge per la piena privatizzazione dell’acqua. Ma la situazione del servizio idrico non migliora. Anzi. Solo il 40 per cento della popolazione della capitale riesce ad avere accesso diretto all’acquedotto. Molta dell’acqua erogata rimane non potabile in vari quartieri della città. E i depuratori non lavoravano a pieno regime. Gli aumenti delle tariffe, poi, servirono solo per adeguarsi al costo della gestione del servizio privato, cresciuto per garantire extraprofitti al management e agli investitori”. È il primo grande fallimento della privatizzazione dei settori pubblici.

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“Le società di gestione arrivarono a lasciare senz’acqua per più di cinque mesi le famiglie che non potevano sostenere gli aumenti ciclici del costo delle bollette”, racconta Reza. Al punto che tocca al governo intervenire – a proprie spese – al miglioramento del servizio idrico. Infatti, secondo il contratto, tutti gli oneri di manutenzione ricadevano sul pubblico e non sulle quattro compagnie private, su cui ricadeva invece la responsabilità di definire le tariffe.

Proteste a Jakarta
Proteste a Jakarta ©KRUhA

La vittoria alla Corte suprema

Il malcontento cresce. “Tanti giovani attivisti cominciano ad organizzarsi e così nasce Kruha. Lo scopo è riportare sotto controllo pubblico l’acqua. Abbiamo organizzato incontri pubblici e manifestazioni, aumentando la pressione sul Parlamento. Poi, improvvisamente, mentre veniva approvata la legge per accelerare le liberalizzazioni del 2005, due giudici della Corte suprema accolsero per la prima volta la nostra richiesta di fermare l’accordo, rendendo anche pubblici i documenti, opportunamente tradotti”.

La Corte suprema determina che effettivamente per le fasce più povere sussiste un accesso limitato all’acqua potabile, il servizio idrico limitato (alle ore serali) e la scarsa pulizia del sistema fognario. “La gente doveva comprare acqua in bottiglia o dalle cisterne o aprendo nuovi pozzi senza autorizzazione alterando gli equilibri delle falde”, spiega Reza.

Non è però una vera vittoria. Scemati i riflettori internazionali dalla vittoria della società civile del 2015 le utility municipali in Indonesia rimangono intrappolate dagli interessi privatistici. “La tendenza governativa alle privatizzazioni è ancora forte in Indonesia“, commenta cupo l’attivista. “La gestione idrica è ancora molto carente poiché mancano le competenze in questo paese. Sebbene l’attenzione locale di cittadini e attivisti rimane alta, le società, in particolare il gruppo Salim rimangono molto attivi per sostenere le privatizzazioni. Si è aperto un nuovo fronte su cui combatto ora. Non potendo gestire la distribuzione in città le società si sono spostate sul settore upstream: dighe, bacini, grandi infrastrutture per la gestione idrica. Grande attenzione anche alle megainfrastrutture per contenere gli impatti del cambiamento climatico”.

Giacarta infatti sta sprofondando sempre più e si teme che al 2050 la città sarà parzialmente sommersa. “Servono delle grandi dighe foranee. Ma il nostro timore è che se gestite privatamente possano essere usate come leva per nuove privatizzazioni”.

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Proteste della società civile indonesiana ©KRUhA

Il settore privato gioca sporco

E il settore privato sta giocando sporco. “Per distrarre l’attenzione pubblica hanno rinominato le partnership pubblico privato in “meccanismi di cooperazione tra governo e entità d’affari” (in indonesiano Kerjasama pemerintah dan badan usaha –  Kpbu). Quindi ancora tanto lavoro da fare. “Dobbiamo lavorare sempre più con le aree rurali dove si costruiscono queste immense infrastrutture e dove i soggetti privati hanno spostato i propri interessi”, spiega Reza.

Una battaglia, quella per l’acqua, che non è mai stata semplice. Quando ho iniziato ad essere un’attivista, nel 1995, a Sumatra, bastava semplicemente definirsi “attivista” per rischiare di essere ucciso, tantissimi sparivano. Ancora oggi la sfida rimane nelle aree rurali dove c’è meno controllo. A Giacarta si può essere cooptati, corrotti. Ma nelle aree rurali si rischia la vita”.


 

Water Defenders è un progetto di Water Grabbing Observatory per il decimo anniversario del riconoscimento del diritto umano all’acqua. Una serie di interviste da tutto il mondo racconteranno battaglie civili dal basso in difesa dell’acqua. Una lotta intesa sotto tutti i punti di vista, contro l’accaparramento delle risorse e contro le grandi e piccole opere che impattano sulle comunità e sul patrimonio naturale. Una galleria di persone comuni, uomini e donne, che in tutto il mondo difendono un diritto fondamentale. A partire dal 22 marzo, Giornata mondiale dell’acqua, ogni mese Water Grabbing Observatory racconterà su LifeGate la storia di un personaggio che si è speso per tutelare la risorsa più preziosa che abbiamo. Per ribadire il valore del diritto all’acqua.

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