Arredamento e Design

La casa degli interior designer

Se ai medici viene caldamente raccomandato di non curarsi da soli, o se i rappresentanti di altre categorie professionali finiscono col perdere slancio e motivazione quando si tratta di diventare i fruitori del proprio lavoro, ovvero i clienti di se stessi, nel caso dei disegnatori e/o architetti d’interni possiamo riscontrare un atteggiamento del tutto opposto.

Se ai medici viene caldamente raccomandato di non curarsi da soli, o se i rappresentanti di altre categorie professionali finiscono col perdere slancio e motivazione quando si tratta di diventare i fruitori del proprio lavoro, ovvero i clienti di se stessi, nel caso dei disegnatori e/o architetti d’interni possiamo riscontrare un atteggiamento del tutto opposto.

Svincolare la propria creatività da qualunque esigenza esterna, perdere volutamente di vista vezzi modaioli, tendenze del momento, codici e convenzioni (talvolta quasi manieristiche) dell’arredamento “di alta gamma”, genera per lo più in questi professionisti l’entusiasmo di poter finalmente forgiare a propria immagine e somiglianza uno spazio che appaia a misura della storia personale e del vissuto, unico ed irripetibile, di chi lo concepisce e lo realizza.

 

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Terrazza con vista sulla chiesa di S. Domenico a Noto

 

Più libri, meno domotica e uno sguardo al Grand Tour

“Quando mi dedico alle mie case assumo un atteggiamento molto più impulsivo del solito e meno incline alla riflessione, sviluppando quasi una sorta di rigetto verso i calcoli e le pianificazioni attentissime alle quali invece mi attengo sul lavoro” racconta Samuele Mazza, agrigentino di nascita, milanese di adozione, gusto impeccabilmente cosmopolita ma con un occhio di riguardo verso la Sicilia delle origini e in particolare Noto dove, oltre a due magioni private puntualmente immortalate dalle riviste specialistiche, è in procinto di allestire anche un canile, antisismico ed ecosostenibile, perfettamente in linea con l’orientamento cruelty-free perseguito nella scelta dei materiali utilizzati nella sua attività.

 

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I famosi “bestiacci” dei balconi di Palazzo Nicolaci a Noto, capitale del barocco siciliano e patrimonio dell’UNESCO

 

“È inevitabile che il luogo in cui vivi rifletta non solo il tuo tratto professionale di designer ma anche la tua identità di persona” continua Samuele. “Io posso collocare un’enorme suppellettile a forma di giraffa nel bel mezzo del salotto, oppure una vasca d’epoca in camera da letto, solo perché mi va, perché corrisponde al mio sentire del momento e non ad un progetto meditato.

Poi, ho alcune stanze colme di libri, che appaiono quasi una stravaganza in un mondo in cui alcuni clienti, abituati a consultare esclusivamente le pagine del web, non sanno quasi più nemmeno che cosa siano i volumi cartacei.

Sono affezionato ai quadri acquistati da artisti che conosco ma il numero di oggetti ai quali mi sento legato è piuttosto esiguo, perché amo cambiare e ripartire da zero. La mia nuova casa siciliana ha assunto un’impronta un po’ rétro, all’insegna del métissage mediterraneo, con quelle atmosfere da primo Novecento care ai viaggiatori del Grand Tour.

 

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Dipinto di Carl Spitzweg (1845) che ritrae un gruppo di nobili inglesi a passeggio per la campagna italiana, nell’ambito di quel Grand Tour che includeva molte delle principali città d’arte del Belpaese

 

Per il resto io adoro la tecnologia, il wireless diffuso e simili comodità, ma per carità, detesto le astruserie della domotica, che attualmente è ad uno stadio di sviluppo talmente primitivo da non essere ancora agevolmente utilizzabile da tutti.

Talvolta mi è capitato addirittura che la proprietaria di un appartamento non riuscisse nemmeno ad aprire la porta o ad accendere la luce, per non parlare dei vincoli fastidiosi che gli aggeggi domotici impongono alla creatività di chi arreda”.

 

La predilezione per gli oggetti multifunzionali

“Mi piace sovvertire l’idea tradizionale e statica di arredamento”, dichiara invece Samer Alameen, designer di origine libanese insediatosi a Milano da quattro anni e mezzo recando in dote una lunga esperienza in ambito pubblicitario.

“Cerco di creare, sia negli spazi che allestisco per lavoro sia nella casa in cui vivo, forme modulari che riescano a suscitare dinamismo e a “movimentare” la stanza, ovvero oggetti che scomponendosi o riposizionandosi arrivino a trasformarsi e ad assolvere di volta in volta funzioni diverse.

 

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Scatole multifunzionali in vetro trasparente, utilizzabili anche come tavolini o preziosi complementi di arredo.

 

Penso ad esempio al mio tavolino di marmo nero e gambe in rame, dotato di un coperchio che, una volta tolto, può diventare un vassoio, oppure alle mie scatole da trasloco realizzate in vetro, e capaci, capovolgendosi, di fungere anch’esse da tavolini.

Insomma, io prediligo la linearità e la semplicità del bianco e della luce, ma desidero circondarmi di pezzi che raccontino la mia storia e siano legati alla mia memoria“.

 

Ritualità casalinghe e reperti della memoria

Il tema del vissuto autobiografico, della casa come mappa di rituali ed emozioni, è declinato in chiave originale e stilizzata da Alessandro La Spada, siciliano di origine, nato a Reggio Calabria e trapiantato a Milano.

“Paradossalmente la mia prima preoccupazione è quella di assicurare alla casa in cui vivo il medesimo livello di comfort di un albergo”, spiega Alessandro. “Se dipendesse da me, sovvertirei il vecchio adagio aspirando a poter dire del luogo in cui abito che “questa casa è un albergo”, cioè comprende stanze da letto ciascuna delle quali dotata di bagno individuale, la microsfera privata nettamente distinta da quella pubblica, la zona lavanderia ben isolata e magari perfino una conciergerie.

 

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Massima attenzione riservata alla cucina e alla sala da pranzo, luoghi della ritualità conviviale

 

A parte questo, ho anch’io i miei oggetti-feticcio, come ad esempio alcuni strumenti musicali, quali la tromba del nonno o la mia chitarra elettrica, ma anche la mitica macchina da scrivere “Lettera 22” utilizzata da mio padre, che ho restaurato a modo mio facendola ricoprire di una lamina d’oro.

E poi ovviamente tengo tantissimo alla cucina, che concepisco come un ambiente introspettivo in cui si consuma quel rito conviviale attraverso il quale ci trasmettiamo a vicenda emozioni e cure reciproche: anche per questo, da designer, attribuisco particolare attenzione ai dettagli della tavola apparecchiata per il pasto“.

 

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L’ormai leggendaria macchina da scrivere “Lettera 22”

 

Un design intessuto di cultura e densità emotiva

Dunque il vissuto casalingo degli interior designer ci rivela fino in fondo la sottile, ma al tempo stesso abissale, differenza tra l’abitare in una casa di pregio creata su commissione e il riuscire invece a plasmarsene accuratamente una che rifletta fedelmente la propria storia e rappresenti la summa pregiata di valori, gusti e inclinazioni personali.

Una preziosa e rara alchimia che gli spazi abitativi riescono a generare solo quando la sapienza tecnica o il know-how specialistico incontrano l’esperienza vissuta di chi ha osservato il mondo e la natura con intensità emotiva e consapevolezza culturale.

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