I benefici della pet therapy in carcere, la storia di Alessandro e Zoe il golden retriever

Uno dei contesti in cui l’esperienza di pet therapy con i cani è particolarmente efficace è quello carcerario. A parlarci di questa pratica è un ex detenuto, “rinato” proprio grazie ad un incontro speciale

Il racconto di un’esperienza diretta è, spesso, il modo migliore per riuscire a cogliere il cuore di una realtà. Ecco perché, ascoltare le parole di un ex detenuto, “rinato” proprio grazie all’incontro con un golden retriever, può dare, più di molte spiegazioni, un’idea chiara di cosa sia la pet therapy.

Sono tanti i contesti, di disabilità, disagio, isolamento, in cui questa pratica può portare autentici benefici e diverse le associazioni che se ne occupano in Italia. Una di queste è Do re miao!, impegnata con progetti nelle carceri, dove le problematiche relazionali e di solitudine affliggono quotidianamente i detenuti. A parlarcene è stato Alessandro (40 anni), rinchiuso per un anno nella casa circondariale Don Bosco di Pisa dove, più di qualunque altra cosa, l’esperienza con i cani, e in particolare con la dolce golden retriever Zoe, lo ha aiutato ad affrontare le difficoltà della vita carceraria. Come lui sono in molti ad avere un debito di gratitudine verso gli amici a quattro zampe, impegnati ogni giorno in attività di sostegno e soccorso. A celebrare proprio queste realtà è stato l’evento Trainer cani eroi show 2017 svoltosi il 16 e 17 settembre al Parco fluviale di San Donà di Piave, in provincia di Venezia.

Trainer cani eroi show 2017
Pet therapy al Trainer cani eroi show 2017

Alessandro racconta la sua esperienza con la pet therapy

Com’è avvenuto l’incontro con la pet therapy?
Nel 2015 sono entrato nel carcere Don Bosco di Pisa per scontare un residuo pena di un anno. Dopo tre mesi sono stato spostato nella sezione a regime attenuato, la Prometeo, che è un po’ un fiore all’occhiello delle carceri italiane. L’organizzazione lì è più simile a quella di una comunità: le celle restano aperte durante il giorno e ci sono dei laboratori e una sala polivalente destinata a varie attività, tra cui i corsi di pet therapy.

Come mai hai deciso di provare questa esperienza?
Me lo propose il mio compagno di cella, ma all’inizio ero molto titubante, perché a casa avevo lasciato il mio cane Roy, un rottweiler adottato in canile. Il distacco con lui era stato doloroso per me e avevo paura che stare con altri cani mi avrebbe fatto stare peggio. Poi, però, mi hanno convinto a fare un tentativo e così ho conosciuto i ragazzi dell’associazione Do re miao!, che venivano da noi una volta a settimana.

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Alessandro con Zoe al corso di pet therapy in carcere
Alessandro con Zoe al corso di pet therapy in carcere

In cosa consisteva il corso di pet therapy?
Facevamo degli esercizi e dei giochi per capire come interagire con i cani in modo corretto. Io, in particolare, mi sono molto affezionato a Zoe, un golden retriever di otto anni. La cosa interessante per me è stata scoprire che, nonostante l’esperienza che avevo già avuto con i cani, c’era ancora tanto da imparare su di loro. Così ho deciso di proseguire il corso e di aprirmi ancora di più a questo mondo. Un momento bellissimo è stato quando sono riusciti a portarmi il mio cane Roy, dopo sei mesi che non lo vedevo. Un’emozione fortissima che non dimenticherò mai.

Quindi hai sempre avuto la passione per i cani?
Sì, ho fatto volontariato in un canile e ho adottato dei cani. Roy l’ho preso al canile di Modena dopo che era stato tolto ai precedenti proprietari. Quando l’ho portato a casa soffriva per le conseguenze di un’operazione all’anca e non si capiva come risolvere la situazione. Dopo diverso tempo è venuto fuori che erano rimaste all’interno alcune garze sterili, che non facevano rimarginare la ferita. Per fortuna il problema poi si è risolto e da allora lui si è attaccato a me in maniera quasi morbosa. Mi piace pensare che questa simbiosi che c’è tra noi sia dovuta anche un po’ al vissuto che ci accomuna.

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Alessandro, con il suo cane Roy, un rottweiler adottato in canile
Alessandro con il suo cane Roy, un rottweiler adottato dal canile

Della pet therapy nello specifico avevi già sentito parlare?
Sì, perché mio padre era direttore di una casa per anziani dove avevano fatto dei corsi con malati di Alzheimer, con ottimi risultati. Ho anche un’amica che ha sperimentato, per suo figlio, la pet therapy con i cavalli, risolvendo così diverse sue insicurezze.

Cosa’hai imparato da questa esperienza?
Ho capito quanto gli animali ti possano dare. Per spiegare quello che si prova faccio sempre un paragone un po’ crudo, ma reale. Durante i colloqui in carcere con i miei famigliari si parlava sempre di qualche problema. Quando è venuto Roy, invece, è stato come se non ci fossimo mai lasciati, come se non fosse successo nulla. Lui ti riprende lì, dove ti aveva lasciato. Non ti giudica.

Tutto questo ti ha aiutato a vivere meglio la situazione che stavi attraversando?
Sì, anche nel rapportarmi con le altre persone. Io vengo da una famiglia tranquilla e da un contesto normalissimo. Perciò all’inizio vivevo con una sorta di paranoia la mia situazione e mi isolavo, temendo continuamente di essere giudicato da tutti per quello che avevo passato. L’esperienza con la pet therapy, invece, mi ha aiutato a capire che, come gli animali, anche le persone possono essere in grado di guardarti non per quello che hai fatto ma per quello che sei e che fai ora.

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Trainer Cani Eroi Show 2017
L’evento Trainer cani eroi show 2017, dedicato alle associazioni e ai cani “eroi” impegnati in missioni e azioni di aiuto e soccorso © Trainer cani eroi show 2017

Come venivano vissute le ore di pet therapy dagli altri detenuti?
Benissimo. C’erano persone anche piuttosto “rattoppate” o che soffrivano di autolesionismo che, durante il corso con i cani, non sembravano nemmeno più loro. Riuscivano a tirare fuori quello che nei momenti di vita normale non riuscivano a esprimere. A differenza di altri corsi, dove si finiva sempre a parlare di questioni giudiziarie o dei propri problemi, nell’ora di pet therapy si stava solo lì a interagire con gli animali e a fare gli esercizi. Dopo quell’ora io tornavo sempre in cella rilassato. Mi sentivo come se stessi camminando a dieci centimetri dal suolo. E in un ambiente oppressivo come il carcere, non è una cosa da poco. Anche perché, dopo un po’ che sei lì dentro, pensi solo al fatto che sei chiuso tra quelle quattro mura.

Da quando sei uscito hai più rivisto Zoe?
Sì, a volte partecipo agli eventi dell’associazione. Vedere Zoe è molto emozionante per me perché significa ricordare i momenti belli vissuti in un brutto periodo.

Cosa ti sentiresti di dire ad altre persone che stanno vivendo le stesse problematiche che hai attraversato tu?
Che vale sempre la pena provare un’esperienza come la pet therapy. Può davvero aiutare in tanti frangenti e, comunque, male non può fare.

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