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Lo sciamanesimo della Polinesia era caratterizzato dal Mana, una forza vitale soprannaturale di cui si servivano i Kahunas, sacerdoti-medici-stregoni.
Secondo la tradizione i Kahuna erano capaci di compiere fatti
miracolosi. Potevano controllare fenomeni naturali come i venti, le
maree, le piogge, parlare agli squali. Erano capaci di camminare
sulle braci infuocate o sulla lava bollente senza bruciarsi,
potevano predire il futuro e addirittura influire sugli eventi fino
a mutarli. Operavano guarigioni spesso impossibili, si occupavano
dei riti che accompagnavano il ciclo vitale degli individui.
Nell’ambito dei kahuna esistevano numerose specializzazioni. Ogni
sciamano era un esperto non soltanto di cose sacre o occulte. C’era
chi curava le malattie con la palpazione, chi con erbe medicinali e
chi utilizzando la preghiera. Vi erano medici erboristi, medici
diagnostici, pediatri, medici specialisti delle ossa, esperti del
controllo della crescita della popolazione, specialisti che
studiavano gli agenti atmosferici e gli altri fenomeni naturali,
chi localizzava i luoghi adatti dove costruire gli heiau, recinti
sacrali formati da una o più piattaforme di forma
rettangolare. Altri ancora praticavano la magia nera e recitavano
la terribile preghiera di morte (‘ana’ ana).
Le guarigioni erano di due tipi: quelle ordinarie dette Lomi Lomi a
base di pozioni, massaggi, forza di suggestione e imposizione delle
mani; quelle spirituali, più complesse e profonde, a volte
miracolose. I Kahunas operavano attraverso il Mana, la forza
cosmica di origine divina che poteva manifestarsi in una persona
(spesso un capo), nella natura e anche in oggetti inanimati. Nella
cultura polinesiana tale forza si esprime in tre differenti
livelli: quello basso e inerente ai fatti naturali, quello medio
che viene irradiato dai centri razionali della mente, e quello
più elevato che agisce sulle facoltà paranormali
dell’individuo. Il Mana è mito e anima che penetra ovunque,
che fa crescere, divenire, che attribuisce forza e potere, e a
volte morire.
Secondo alcuni studiosi l’ultimo Kahuna sarebbe vissuto intorno
agli inizi del 1900. Ma c’è chi sostiene che nelle Hawai
degli anni venti alcune persone morirono senza alcun segno di
malattia. Si parlò di magia nera, della preghiera di morte.
Oggi il Mana è poco più di un sussurro, lo percepisce
chi lo cerca, chi lo riconosce in uno sguardo che lo rivela e al
tempo stesso lo nega, per custodirlo secondo la volontà
degli vecchi; ultimi depositari di un sapere antico sempre
più soffocato dalla pressione del mondo civilizzato,
razionale e scientista che allontana l’uomo dalla natura e dalla
divinità.
Maurizio Torretti
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