In Italia abbiamo un problema con la profilazione razziale della polizia, secondo un comitato Onu

Profilazione razziale, razzismo e forze dell’ordine. Il Comitato Onu per l’eliminazione della discriminazione razziale ci ha lanciato un avvertimento chiaro.

L’Italia ha un grosso problema con la profilazione razziale e il razzismo in generale. Così ha deliberato il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (Committee on the elimination of racial discrimination, Cerd) nelle sue osservazioni conclusive pubblicate il 31 agosto.

Non si parla solo della violenza da parte delle forze di polizia, ma di diverse aree tematiche, tra cui l’accesso all’istruzione e ai servizi sanitari, l’accesso alla giustizia, oltre alla mancata indipendenza dell’Ufficio nazionale contro la discriminazione e al fenomeno del caporalato. Preoccupazioni avanzate anche nei confronti del decreto Cutro e della criminalizzazione delle organizzazioni non governative che si occupano di salvare vite in mare.

Lo scenario che emerge è quello di un paese non in grado di affrontare il tema delle discriminazioni etnico, razziali e religiose. 

Forze dell’ordine e profilazione razziale

Lo scorso luglio, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), ha inviato una segnalazione al Cerd per affrontare il tema della profilazione razziale portata avanti dalle forze dell’ordine in Italia. 

Secondo la definizione ufficiale del Consiglio d’Europa 

si definisce profilazione etnica o razziale nell’ambito delle attività di polizia, quando le forze procedono a operazioni di controllo, sorveglianza o indagine, in base a motivi legati all’etnia, al colore della pelle, alla lingua, alla religione, alla nazionalità o l’origine nazionale senza alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole.

Come ha osservato Asgi, il tema della profilazione razziale da parte delle forze di polizia ha rilevanza anche per i mezzi d’informazione quando avviene in altri Paesi, come è successo con il caso di George Floyd negli Stati Uniti nel 2020 o di Nahel, il giovane ragazzo di origine algerina ucciso da un agente a Nanterre, in Francia, lo scorso giugno. Eppure le minoranze in Italia non sono esenti dal subire questa pratica discriminatoria.

In Italia “tra coloro che sono stati fermati nei dodici mesi precedenti il sondaggio, il 70 per cento ritiene che l’ultimo fermo sia stato motivato da motivi razziali”, secondo l’unico studio sul tema pubblicato nel 2018 dalla European Union agency for fundamental rights.

Questa tendenza è stata confermata dal comitato Onu, che si dice “preoccupato per le numerose segnalazioni sull’uso diffuso di profili razziali da parte delle forze dell’ordine” in Italia e “per le informazioni riguardanti un elevato numero di casi di abusi razzisti e maltrattamenti, tra cui l’uso eccessivo della forza e di violenza contro minoranze etniche, in particolare rom, sinti e camminanti, africani, persone di origine africana e migranti”.

La questione del riconoscimento facciale è legata alla profilazione razziale

Un altro tema importante evidenziato dal Cerd è l’utilizzo della tecnologia del riconoscimento facciale da parte della polizia che può colpire in modo sproporzionato alcuni gruppi minoritari e può causare grave forme di discriminazione.

Questo tipo di tecnologia è spesso utilizzato dai regimi autoritari per perseguire oppositori e minoranze: è famoso il caso della polizia iraniana che utilizza il riconoscimento facciale per intercettare le donne che violano la normativa sul velo, ma in realtà è utilizzato spesso anche nei paesi dell’Unione Europea, Italia inclusa.

Il Sistema automatico di riconoscimento immagini (Sari), utilizzato dalla polizia scientifica italiana, è un sistema di riconoscimento facciale nato inizialmente per contrastare il terrorismo, usato ora anche per l’arresto di altri criminali, ed ha suscitato diverse critiche in merito alla scarsa trasparenza dell’algoritmo. Addirittura, una delle sue funzioni, quella in real time, è stata bloccata dal garante della privacy nell’aprile del 2021.

Una delle banche dati a cui fa riferimento il Sari è la banca dati delle forze di polizia. Secondo Asgi questo database viene spesso usato in modo discriminatorio e non ci sarebbe trasparenza.

La normalizzazione dei discorsi d’odio contro gruppi etnici

Il Comitato ha espresso grande preoccupazione per la normalizzazione e il crescente uso di discorsi di odio contro i gruppi etnici sui mezzi d’informazione, sul web, ma soprattutto da parte di politici, compresi esponenti del governo italiano e altri funzionari pubblici di alto livello. Le principali vittime sono, di nuovo, la comunità rom, i sinti e i camminanti, le persone di origine africana, nonché i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati.

L’uso crescente di discorsi razzisti, compresi gli stereotipi, nel discorso pubblico sta portando a una proliferazione di episodi di odio di matrice razzista. Nonostante la mancanza di una statistica relativa ai crimini d’odio su base etnico-razziale, si è constatato il  crescente numero di segnalazioni di crimini di odio a sfondo razzista, tra cui violenze verbali e fisiche contro le minoranze etniche, che talvolta hanno causato la morte, come nel caso di Alika Ogorchukwu.

La disinformazione e i discorsi d’odio hanno, di fatto, modellato l’opinione pubblica italiana. Secondo il report pubblicato da Oxfam e dall’Istituto Demopolis nel dicembre del 2022, l’opinione pubblica italiana è fortemente influenzata da stampa e politica sul tema dell’immigrazione. La statistica mostra un quadro razzista soprattutto sul tema dell’accoglienza. Ad esempio, il 52 per cento del campione intervistato sostiene sia più giusto accogliere i profughi ucraini rispetto a chi scappa da fame e guerre in corso in Asia e Africa.

Anche il tema della riforma della cittadinanza è al centro dei discorsi d’odio. La ricerca Barometro dell’odio di Amnesty Italia ha analizzato più di 27mila contenuti sui social sul tema della cittadinanza e il risultato è molto preoccupante: un commento su dieci è discriminatorio e offensivo.

Le raccomandazioni dell’Onu all’Italia

Ora sono il governo e il parlamento italiani che dovrebbero rispondere tempestivamente a queste segnalazioni con una legislazione adeguata, con linee guida chiare per le forze dell’ordine al fine di prevenire questi episodi durante i controlli, oltre a cercare di incentivare la diversità all’interno della polizia.

Una sfida ancora più grande è quella legata alla giustizia. Per contrastare questo fenomeno è necessario, non solo tenere traccia di tutte le denunce relative agli abusi delle forze dell’ordine, ma garantire un’indagine efficace e tempestiva, il risarcimento del danno, ma soprattutto la tutela da ritorsioni per aver denunciato questi atti. 

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