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Il rientro dell’ambasciatore italiano Giampaolo Cantini in Egitto non significa in alcun modo una rinuncia alla ricerca della verità sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato morto, con evidenti segni di torture alcuni giorni dopo, il 3 febbraio. Anzi, assicura il ministro degli Esteri Angelino
Il rientro dell’ambasciatore italiano Giampaolo Cantini in Egitto non significa in alcun modo una rinuncia alla ricerca della verità sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato morto, con evidenti segni di torture alcuni giorni dopo, il 3 febbraio. Anzi, assicura il ministro degli Esteri Angelino Alfano “con l’invio di un ambasciatore di comprovata capacità, il governo intende rafforzare il proprio impegno politico e morale nel perseguimento della verità sull’omicidio di Regeni”. Alfano, difendendo alla Camera dei deputati la scelta presa dal governo, ricorda che “il richiamo dell’ambasciatore un anno fa (al tempo era Maurizio Massari, ndr) fu uno strumento di pressione per avere più notizie sull’omicidio”: pressione che a giudizio del governo ha avuto effetto, dal momento che la procura egiziana e quella italiana hanno annunciato ad agosto di aver ripreso a collaborare nelle indagini. Per questo, secondo Alfano “l’invio di Cantini è un consequenziale passi in avanti”.
Alfano si riferisce al fatto che lo scorso 14 agosto la procura del Cairo ha trasmesso a quella di Roma gli atti di un nuovo interrogatorio cui sono stati sottoposti i poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte del giovane, e che l’Italia sospetta siano implicati nella morte stessa del giovane. L’interrogatorio era stato voluto proprio dagli investigatori italiani, e in quella occasione le due procure avevano anche diramato un comunicato congiunto in cui si annunciava per settembre un nuovo incontro e in cui gli egiziani assicuravano che “le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato al sequestro, alle torture e alla morte di Giulio Regeni“. Per il governo quindi l’invio dell’ambasciatore Cantini, che sarà operativo al Cairo dal 14 settembre, è un atto “politicamente conseguente, con il quale intendiamo rafforzare l’impegno politico e morale alla ricerca della verità su Giulio Regeni, intensificando ogni azione utile affinché nessuno spazio sia lasciato in ombra”.
Intitolare a Giulio #Regeni sedi istituzionali italiane nel paese in cui è stato torturato e assassinato la trovo vergognosa
— Riccardo Noury (@RiccardoNoury) 4 settembre 2017
Del resto, dal giorno in cui l’ambasciatore Massari aveva lasciato l’Egitto, i rapporti diplomatici tra i due paesi si erano pressoché azzerati, visto che anche l’ambasciatore egiziano a Roma aveva terminato il proprio incarico e non era stato più sostituito, e secondo Alfano “l’Egitto è un partner ineludibile per l’Italia”. Non solo per i forti rapporti economici da sempre esistenti tra i due paesi, assicura, ma anche “per l’importanza del Cairo nella stabilità del Mediterraneo: nonostante questo l’Italia “non abbasserà la guardia sul rispetto dei diritti umani” in Egitto, assicura il ministro. Un impegno nel nome di Giulio Regeni, cui potrebbe essere intitolata l’Università italo-egiziana, se la ripresa delle relazioni dovesse sbloccarne la realizzazione, e anche una sala dell’Istituto italiano di cultura del Cairo, anche se l’idea non piace molto al portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, secondo cui “intitolare a Giulio Regeni sedi istituzionali italiane nel paese in cui è stato torturato e assassinato è vergognoso”.
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