
Le specie aliene invasive hanno un enorme impatto ecologico, sanitario, economico. Ma esistono delle strategie per tenerle sotto controllo.
“Abbiamo scelto di occuparci dei polpi perché sono gli ultimi fra gli ultimi”. L’editoriale di Simone Montuschi, portavoce dell’associazione Essere Animali.
Ci sono animali che, più di altri, suscitano in me meraviglia e stupore. Alcuni documentari alla televisione mi tenevano incollato al divano, erano un tuffo in un universo nuovo e incredibile. Mi ricordo ancora un servizio sui polpi, invertebrati marini che abitano le acque di tutto il mondo. Quegli animali prendevano oggetti e si costruivano dei ripari, provavo quasi un senso di inquietudine nel rendermi conto che esseri così diversi da me ragionassero, pensassero, proprio come me.
Solo anni più tardi avrei letto che la scienza è concorde nel riconoscere a questi animali, oltre alla capacità di provare sofferenza, anche un’intelligenza molto sviluppata e la “coscienza del sé”, cioè comprendere di essere, di esistere.
I polpi sono anche tra gli animali più pescati. La loro carne, il cui consumo pro capite oscilla tra 1,5 e 5,1 chilogrammi all’anno a seconda delle regioni, è considerata prelibata. Non si tratta solo di pesca praticata a livello industriale. L’aumento della proposta di polpo fresco, a volte servito crudo nei ristoranti di tante città costiere, ha intensificato il fenomeno della piccola pesca.
Con il team di Essere Animali, associazione che promuove un cambiamento culturale, sociale e politico, volto a superare le forme di sfruttamento nei confronti degli animali, abbiamo scelto di raccogliere informazioni su questo tipo di pesca. I nostri ricercatori hanno seguito e parlato con diversi pescatori, documentando la cattura e l’uccisione di questi animali.
#SalvaIlPolpo ha trovato il supporto anche dell’etologo Jonathan Balcombe, uno dei massimi conoscitori al mondo di questa specie, direttore del programma Animal sentience dello Humane society institute for science and policy e direttore del dipartimento di Animal studies della Humane society university di Washington, negli Stati Uniti.
“Possiamo e dobbiamo trattarli meglio”, ha dichiarato Balcombe quando ha visto le nostre immagini. Perché ai polpi sembra si possa fare di tutto. Forse sono una delle specie meno tutelate dalle leggi: si possono uccidere con un morso, con una coltellata, si possono lasciar agonizzare nei porti. Non vi è alcun limite alla pesca, non esistono limiti di taglia.
A Ferragosto sono stato ospite di alcuni amici che non vedevo da tempo. Come sempre sono stati molto premurosi, mi hanno fatto trovare la tavola imbandita di cibo vegetale.
“Spero non ci consideri maleducati se abbiamo cucinato anche il pesce”, esordisce il padrone di casa. “Ma quale maleducazione”, rispondo, sbuffando un po’ tra me e me, ma non perché li consideri tali, più che altro perché mi accorgo che, anche oggi, forse sarò subissato di domande sulla mia scelta alimentare. Non che mi dispiaccia, anzi, il miglior attivismo per gli animali è quello che si fa a quattrocchi, quando si hanno a disposizione minuti di conversazione per confrontarsi. Ma speravo di parlare di Olimpiadi.
C’è anche una pirofila con un classico della cucina a base di pesce, polpo e patate. Non faccio menzione alla nostra ultima indagine, ma poi cedo quando un altro ospite, che non conosco, si rivolge a me lasciandosi scappare l’immancabile “se non l’hai mai mangiato non puoi capire, il polpo si scioglie in bocca”.
Racconto di come avviene la pesca tradizionale di questi animali. Solo due parole, nulla di più, mi soffermo sul fatto che, una volta catturati, i polpi cercano di fuggire dalla barca. Ma non fa presa e i commenti successivi, pur ammettendo che gli animali dovrebbero essere uccisi causando loro la minima sofferenza, difendono a spada tratta la pesca tradizionale, giudicata meno invasiva di quella industriale.
Non volevo, ma ormai è impossibile tirarsi indietro. Racconto allora che la pesca tradizionale, o piccola pesca, a dispetto del nome, incide oggi in Italia per il 15 per cento del pesce pescato e per il 23 per cento dei ricavi dell’intero settore, sia per l’alto valore economico delle specie catturate sia per il canale di vendita diretto.
Se è vero che i grandi pescherecci cacciano oltre 47mila tonnellate di polpi nei mari di Senegal, Marocco e Spagna, altre 3mila tonnellate di polpi sono pescate in Sardegna, dove la pesca di questi animali rappresenta il 34,4 per cento del totale e in Puglia, Campania, Toscana, Sicilia con percentuali attorno al 20 per cento. È impossibile sapere il numero di polpi uccisi perché, come tutti gli animali pescati, non vengono contati individualmente, ma per peso. Forse sono centinaia di migliaia, alla faccia della piccola pesca.
Polpo e patate deve essere un piatto veramente delizioso perché le mie parole non smuovono nessuno. Poi qualcuno alza il tiro: “Saranno anche intelligenti, ma li mangiamo da sempre e tra allevamenti intensivi e pellicce, credo che la pesca tradizionale dei polpi sia l’ultimo dei problemi degli animalisti”.
Le sue parole mi risuonano nella testa, di colpo capisco che involontariamente mi ha fornito l’assist che mi porta a ricordare ciò che, complice il clima vacanziero, mi ero per un attimo dimenticato, il primo vero motivo che ha spinto Essere Animali a realizzare questa indagine. Non è l’enorme e indefinito numero di polpi uccisi. E non sono nemmeno le loro capacità, il saper risolvere problemi complessi o l’abilità nel mimetizzarsi. Abbiamo scelto di occuparci di polpi perché sono gli ultimi fra gli ultimi.
Nessuna legge li protegge e, come tutti i pesci uccisi a scopo alimentare, sono sottoposti a violenze che, se fossero esercitate su animali di altre specie scatenerebbero indignate proteste non solo da parte di persone con una sensibilità animalista.
“Proprio perché sono considerati gli ultimi fra gli ultimi è importante non dimenticarli”, concludo. Scende il silenzio e scelgo di cambiare discorso: “Questa parmigiana vegetale si scioglie in bocca, ma avete visto la finale di nuoto maschile?”
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