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Sono trascorsi ventisei anni dal genocidio in Ruanda. Per non dimenticare bisogna ricordare la storia e ripercorrere le immagini di uno dei momenti più bui del Ventesimo secolo.
Il 6 aprile 1994 l’allora presidente del Ruanda Habyarimana e quello del Burundi Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu, muoiono in un misterioso incidente: l’aereo sul quale viaggiano viene colpito da un missile mentre sta per atterrare all’aeroporto di Kigali, capitale del Ruanda. I responsabili non verranno mai scoperti, ma l’ipotesi più accreditata porta ad estremisti hutu insoddisfatti dall’accordo di pace che avrebbe dovuto mettere fine alla violenza e all’odio e far rientrare migliaia di persone di etnia tutsi in Ruanda.
L’accaduto viene preso come scusa per accusare i ribelli tutsi del Fronte patriottico ruandese (Fpr), guidati da Paul Kagame, e cominciare il loro sterminio. Dal giorno seguente, il 7 aprile 1994, ha inizio quello che è stato poi definito genocidio del Ruanda, l’episodio più violento e sanguinoso del Ventesimo secolo dopo la Seconda guerra mondiale: ha portato alla morte di un numero di persone (per la maggior parte tutsi) compreso tra 800mila e 1.071.000 in cento giorni. Uccise a colpi di machete, bastoni e armi da fuoco.
Il massacro termina alla metà di luglio 1994 con la vittoria del Fronte patriottico ruandese (Rpf) guidato da Paul Kagame, attuale presidente, sulle forze governative.
A 26 anni di distanza, il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi in Ruanda sta ancora portando avanti un lavoro di ricerca per condannare i responsabili anche se si tratta di un processo delicato e complicato. I carnefici, infatti, non sono identificabili facilmente perché ogni persona di etnia hutu avrebbe dovuto partecipare al massacro. Chi si fosse rifiutato sarebbe stato ucciso a sua volta. Per questo motivo si stima che le persone coinvolte nel genocidio sarebbero oltre mezzo milione tra mandanti, esecutori e altri crimini.
Jean Paul Akayesu, sindaco della città di Taba durante la mattanza, è stato condannato all’ergastolo per il massacro di duemila tutsi che pensavano di trovare un rifugio all’interno del municipio. Così come Jean Kambanda, direttore dell’Unione delle banche popolari del Ruanda nonché presidente ad interim dopo la morte di Habyarimana, accusato di aver partecipato direttamente al genocidio e di non essere intervenuto per fermare il massacro.
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