Scarcerato il ricercatore italopalestinese Khaled El Qaisi, ma non può lasciare il Paese

Khaled el Qaisi è un ricercatore italopalestinese che era stato arrestato dalle autorità israeliane senza spiegazioni. Il suo non è un caso isolato.

Il tribunale israeliano di Rishon Lezion ha stabilito il 1° ottobre, nell’udienza in cui avrebbe dovuto rendere pubblici i capi di accusa, la scarcerazione del giovane ricercatore italopalestinese Khaled El Qaisi, ad un mese dal suo arresto. Libero, sì, ma sotto condizioni: nell’atto di scarcerazione è stato imposto ad El Qaisi di risiedere per almeno sette giorni a Betlemme, nei territori palestinesi occupati, con libertà di movimento, ma senza possibilità di lasciare il paese e senza passaporto

Il giovane deve restare a disposizione delle autorità israeliane che pare stiano ancora indagando sul suo conto, ma nemmeno le autorità diplomatiche italiane sono, ad oggi, al corrente di quali siano le accuse nei confronti di El Qaisi. Domenica 8 ottobre si scoprirà se il giovane sarà definitivamente liberato o se verranno formalizzate le accuse a suo carico.

La vicenda

Khaled El Qaisi era stato arrestato il 31 agosto al valico di Allenby tra Giordania e Cisgiordania, dopo una breve vacanza in Palestina con la famiglia. Nato da madre italiana e padre palestinese, El Qaisi ha la doppia cittadinanza. Dopo essere cresciuto a Betlemme, ha iniziato i suoi studi accademici all’Università Sapienza di Roma, dove è diventato traduttore e uno dei fondatori del Centro di documentazione palestinese, un’organizzazione dedicata alla promozione della storia e della cultura palestinese per difendere e preservare la memoria storica della Palestina.

El Qaisi intendeva recarsi all’anagrafe palestinese per registrare il suo matrimonio con sua moglie, Francesca Antinucci, e la nascita del loro figlio, accompagnare la famiglia in una breve vacanza in Giordania e infine tornare in Palestina per completare le ultime formalità. Il controllo al valico di Allenby è diventato sempre più teso. I bagagli della coppia, compresi i telefoni cellulari, sono stati sequestrati dagli agenti israeliani e El Qaisi portato via in manette.

Secondo quanto riportato dall’’avvocato della famiglia in Italia, Flavio Rossi Albertini – famoso per essere il difensore anche di Alfredo Cospito – il ricercatore è stato lasciato in isolamento nella sua cella e gli è stato impedito di parlare con il difensore locale per 15 giorni, il limite massimo consentito dal diritto internazionale. Il ricercatore è anche stato sottoposto a lunghi interrogatori senza la presenza del suo difensore.

Giorni dopo l’incarcerazione di El Qaisi, anche suo fratello minore e due suoi cugini sono stati arrestati a Betlemme. Mentre il primo è stato rilasciato nel giro di poche ore, gli altri rimangono in custodia senza accuse.

Fondamentale a portare la storia di Khaled El Qaisi all’attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche italiane è stata la mobilitazione della società civile, della comunità scientifica e della comunità palestinese in Italia, che sin da subito si è attivata organizzando sit in e cercando di fare pressioni sulla stampa. Oltre agli eventi pubblici, è stata lanciata una petizione che ha superato le 30mila firme.

La poca copertura mediatica data al caso da parte della stampa italiana – il caso è stato presentato ai tg nazionali solo venerdì 29 settembre, a un mese dall’arresto – ha fatto sì che il Comitato #FreeKhaled, lanciato dalla famiglia, organizzasse presidi di fronte alle sedi Rai in 22 città italiane.

La detenzione amministrativa in Israele

La mobilitazione dell’opinione pubblica e la cittadinanza italiana di Khaled El Qaisi hanno aiutato nella pressione sulle autorità israeliane, ma quello del ricercatore non è un caso isolato. Siamo di fronte ad un periodo di estrema repressione del popolo palestinese. Israele ha battuto un record trentennale per quanto riguarda il numero di palestinesi detenuti illegalmente nell’ambito della controversa procedura di detenzione amministrativa.

Secondo i dati aggregati delle Nazioni Unite, in questo momento sono in detenzione amministrativa senza processo e spesso senza nemmeno che sia stata comunicata una ragione per l’arresto, 1.264 palestinesi.

La detenzione amministrativa è una forma speciale di custodia cautelare, risalente al periodo del mandato britannico e inserita successivamente nell’ordinamento israeliano che prevede la custodia senza accuse ufficiali né processo, sulla base di rapporti confidenziali dell’esercito o dei servizi segreti, che non possono visionare nemmeno i legali, e che identificano l’accusato come possibile minaccia allo Stato. L’ordine di detenzione amministrativa israeliana dura sei mesi e è rinnovabile senza limiti di tempo, un pratica che viola il diritto internazionale e condannata più volte dalle Nazioni Unite.

Diverse organizzazioni per i diritti umani israeliane, tra cui B’Tselem, hanno da tempo condannato le deplorevoli condizioni di detenzione e gli abusi durante gli interrogatori.

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