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A Dakar i giovani protestano contro il governo e in difesa della democrazia. L’arresto del leader di opposizione è stata la miccia, ma il malcontento è più profondo.
Da mercoledì 3 marzo in Senegal sono scoppiate violente proteste. Disordini, macchine bruciate, lancio di pietre, scontri con la polizia, gas lacrimogeni, saccheggi e arresti, in particolare nella capitale Dakar. Secondo il ministero dell’Interno senegalese quattro persone sarebbero morte e oltre cento rimaste ferite.
La città, e il paese in generale, non vedeva proteste di questo tipo da anni, essendo infatti definito uno dei paesi più stabili a livello sociale e politico dell’Africa occidentale.
Quello che ha fatto scoppiare la rabbia della popolazione è stato l’arresto del principale leader di opposizione Ousmane Sonko, arrivato terzo alle elezioni del 2019 con il 15 per cento dei voti e molto popolare in particolare tra i giovani per le sue posizioni contro il “sistema”. Sonko, 46 anni e a capo del partito Pastef-Les Patriotes, si stava recando all’udienza il 3 marzo per un’accusa di stupro sollevata a febbraio, ma è stato arrestato prima di arrivarci. Il leader dell’opposizione ha smentito le accuse e dichiarato che si tratta di una mossa del governo per indebolire i rivali in vista delle elezioni che si terranno nel 2024. Sonko è stato anche successivamente accusato di aver fomentato gli scontri violenti a seguito del suo arresto.
In risposta alle proteste, il governo ha reagito con la repressione, arresti arbitrari e la limitazione delle comunicazioni e delle informazioni, su internet (come Facebook, Whatsapp e Youtube) e in televisione, oscurando due reti private – Sen Tv e Walf Tv – accusate di aver incitato l’insurrezione mandando in onda le immagini delle proteste. A Dakar venerdì è stato anche vietato l’uso di moto e scooter – popolari tra i giovani sostenitori di Sonko – dalle strade della capitale. Il governo ha chiesto alle forze di polizia di “usare ogni mezzo necessario” per ristabilire l’ordine.
A capo del governo c’è il presidente Macky Sall, al potere dal 2012. La legge del paese vuole che il presidente in carica debba lasciare il posto dopo due mandati consecutivi. Ma nel 2016 Sall aveva chiesto una revisione costituzionale proprio su questo punto, facendo quindi dedurre la sua volontà di ripresentarsi alle prossime elezioni nonostante il limite legale.
Le proteste, quindi, sono state abbracciate non solo dai sostenitori di Sonko, ma da una larga fetta della popolazione che vede a rischio la democrazia del paese in un periodo di crisi a livello economico, esacerbato dalla pandemia che sta mettendo in ginocchio molti settori, incluso quello del turismo che è cruciale per il paese. Il malcontento è generale e indirizzato verso la classe dirigente.
“Le manifestazioni in generale non sono pacifiche. Il clima è molto teso”, ci ha raccontato Davide Lemmi, giornalista e corrispondente da Dakar. “Inoltre, non c’è una vera organizzazione nelle manifestazioni e questo le rende più pericolose, ma allo stesso tempo sono frutto di necessità reali”.
Amnesty International ha chiesto al governo di smettere con l’arresto di oppositori e attivisti e di facilitare la gestione delle manifestazioni. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Africa occidentale, Mohamed Ibn Chambas, ha chiesto di ripristinare la calma, mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha invitato polizia e manifestanti a evitare la violenza.
Le proteste stanno proseguendo anche fuori dalla capitale e persino dal paese: il 5 marzo ci sono state proteste a Milano fuori dall’ambasciata senegalese. Con l’udienza a Sonko spostata e fissata per martedì 9 marzo, ci si aspettano ulteriori tumulti in quella giornata.
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