In 12 città degli Stati Uniti i due quinti della popolazione non riescono più a pagare l’accesso all’acqua, i cui prezzi sono aumentati esponenzialmente.
Durante la pandemia di coronavirus, milioni di americani hanno cominciato a ricevere bollette altissime per l’acqua consumata nelle loro abitazioni. Talmente alte da far rischiare loro di perdere perfino le case, qualora non riuscissero a pagare, secondo un’inchiesta condotta dal quotidiano inglese The Guardian. L’analisi si è concentrata su dodici città degli Stati Uniti. Risultato: il prezzo dell’acqua ad uso domestico, compresa quella per le fognature, è aumentato in media dell’80 per cento tra il 2010 e il 2018. Così, due americani su cinque, ormai, non possono permettersi di fronteggiare tale spesa. Benché l’acqua rappresenti un bene essenziale. E un diritto inalienabile.
La doppia crisi americana: acqua e povertà
Negli Stati Uniti è in corso da anni una vera a propria emergenza idrica, legata a doppio filo all’aumento della povertà. Nel paese abita infatti il 41 per cento delle persone più ricche dell’intero pianeta, ma un terzo della popolazione – oltre 105 milioni di persone – vive sotto la soglia dell’indigenza. Il quadro della crisi idrica americana è peggiorato da elementi come l’invecchiamento delle infrastrutture, i cambiamenti demografici che portano sempre più persone in città e l’emergenza climatica.
Tutto ciò sta provocando di anno in anno un aumento esponenziale del costo dell’acqua, secondo quando indicato da Roger Colton, analista di servizi pubblici americani, interpellato dal Guardian. “I dati – ha spieggato l’esperto – mostrano che negli Stati Uniti abbiamo un problema di accessibilità economica all’acqua ma che in alcune città non era presente fino a soltanto due o tre anni fa”.
Exclusive: analysis of US cities shows emergency on affordability of running water amid Covid-19 pandemic.https://t.co/gK3SSyq7fE
Nel solo mese di aprile 2020, a causa della pandemia, più di 20 milioni di americani hanno perso l’occupazione, ma il dato più inquietante della ricerca mostra che l’aumento delle bollette non sta solo danneggiando i più poveri e i senza impiego: tocca sempre più anche chi ha il privilegio di poter lavorare. Tra il 2010 e il 2018 le bollette dell’acqua sono aumentate mediamente del 27 per cento, mentre la crescita più ampia è stata registrata ad Austin, in Texas, dove il costo annuale per l’acqua è passato da 566 dollari a inizio decennio ai 1.435 del 2018. Un maggiorazione del 154 per cento.
Nel frattempo, gli aiuti federali che sostengono il pagamento delle utenze idriche pubbliche sono precipitati aggravando un altro problema: l’acqua potabile arriva in casa soltanto dell’87 per cento degli americani.
I dati della crisi dell’acqua
“La tendenza ad aumentare le tariffe è mondiale, non solo americana. Non è giusto far pagare l’accesso all’acqua che è un diritto universale dell’uomo”, osserva Emilio Molinari, presidente della sezione italiana del Contratto mondiale dell’acqua, composto da cittadini, comitati, associazioni impegnati a promuovere una nuova cultura e politica dell’acqua come diritto umano, patrimonio dell’umanità. Proprio dieci anni fa, il 28 luglio, le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione che riconosce l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari tra i diritti umani fondamentali.
Eppure le bollette in molte città della nazione più ricca del mondo sono diventate inaccessibili per moltissimi cittadini. Ad Austin, una città già colpita negli ultimi anni dalla siccità, se i prezzi continuassero a salire al ritmo attuale, quattro residenti su cinque a basso reddito dovranno far fronte a fatture insostenibili nel 2030.
L’acqua è un diritto fondamentale. La situazione in Italia
“Negli Stati Uniti, ma questo accade anche in Italia, chi non riesce a pagare la tassa sull’acqua perde il diritto stesso di averla in casa, poiché l’erogazione può essere interrotta. L’acqua sarà sempre più accessibile soltanto ai ricchi oppure ai super-poveri perché seguiti dai servizi sociali o da realtà del terzo settore. Un allargamento estremo di una forbice che già negli Stati Uniti si inizia a vedere”, ammette Emilio Molinari. Questa situazione contrasta con l’indicazione dell’Organizzazione mondale della sanità (Oms) che ritiene debbano essere garantiti gratuitamente almeno 50 litri al giorno per persona.
La situazione oltreoceano è diversa da quella in Italia: “Da noi i costi sono in media 10 volte meno rispetto a quelli degli Stati Uniti”, spiega Gianfranco Becciu, docente di costruzioni idrauliche al Politecnico di Milano.
In Italia tutti i gestori, pubblici e privati a partecipazione pubblica, devono seguire le indicazioni d’Arera (l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) e imporre una tariffa agevolata calcolata su 90 litri al giorno per persona: 40 litri in più rispetto a quanto chiesto dall’Oms. Un esempio: “A Milano il costo dell’acqua è intorno ai 10 centesimi di euro al metro cubo”, chiarisce Becciu. Tradotto, significa che al costo di 10 centesimi si possono acquistare 10mila bottigliette d’acqua. “In un anno una persona paga in Italia 3 euro per disporre di 33 metri cubi d’acqua. Non ci sono di fatto barriere di accesso all’acqua per i più poveri, e questo anche in una città notoriamente costosa come Milano”, chiosa Becciu.
La crisi ambientale impatta sul costo dell’acqua
In Italia c’è però una minaccia “molto presente sopratutto in Lombardia: l’inquinamento delle falde acquifere. Nella provincia di Milano – anche se il fenomeno è sotto controllo dal punto di vista della salute pubblica – l’acqua è contaminata da glifosato”, testimonia Emilio Molinari. Non è finita qui. Brescia ha scoperto che già dagli anni Settanta alcune aziende come la Caffaro sversavano cromo, Pcb, mercurio, ma anche diossine, furani, arsenico, tetracloruro di carbonio nei propri campi, contaminando le falde.
In Italia, l’altro grande problema, secondo il Blue Book di Utilitalia, la monografia dei dati del servizio idrico realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la collaborazione di Istat, è che su cento litri di acqua distribuiti, ben 39 vanno persi. Va meglio al Nord dove si lascia per strada il 29 per cento, va malissimo al Centro e al Sud con il 46 e 45 per cento che fuoriesce dagli impianti, spesso molto vecchi.
Soluzioni a medio e lungo termine
Nonostante in Italia il 20 per cento del territorio rischi la desertificazione nei prossimi anni, non ci sono (per ora) problemi di approvvigionamento d’acqua. Per questo, secondo Gianfranco Becciu, i gestori non intervengono sulle strutture idrauliche perché costa meno – alle tasche degli italiani – immettere più acqua nelle reti, di cui una parte va consapevolmente persa, piuttosto che apportare interventi molto costosi.
Se questo problema resta quindi attuale ma sullo sfondo, “le risorse idriche stanno peggiorando la loro qualità”. Nei ghiacciai, nei laghi e nelle falde. I costi di potabilizzazione sono quindi destinati a crescere. “Tuttavia – continua Becciu – ritengo che questo non condurrà ad un aumento sostanziale delle tariffe”.
Un quadro ambientale a tinte fosche che prospetta però all’orizzonte una soluzione. L’Italia ha degli standard molto elevati rispetto alla potabilità dell’acqua ma, di fatto, il 70 per cento dei servizi per cui la si usa, non li richiederebbe. “È il caso dell’acqua per lo scarico dei servizi igienici, così come quella per lavare i cortili o le strade. Questa è tutta acqua che non ha bisogno di essere sottoposta ad eccessivi filtraggi”. In un futuro prossimo dovremmo prevedere processi di potabilizzazione differenziati tra le acque di prima falda, potabili al cento per cento, e le acque piovane utilizzabili per il restante 70 per cento dei servizi. “Alcuni gestori di impianti cercano già oggi di riutilizzare, per la pulizia delle strade, le acque in uscita dai depuratori di loro competenza”, conclude Becciu.
Occorre dunque cambiare il nostro modo di gestire un bene che è probabilmente il più prezioso in assoluto per la vita umana e per il pianeta nel suo complesso.
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