“Abbiamo perso il nostro istinto di sopravvivenza”, l’Amazzonia di Eliane Brum

L’intervista alla giornalista Eliane Brum, che nel suo ultimo libro “Amazzonia” ci porta in viaggio tra persone, natura e animali mostrandoci che siamo tutti parte della foresta.

Eliane Brum, una delle più importanti scrittrici e giornaliste brasiliane, è appena passata per l’Italia per presentare il suo ultimo libro “Amazzonia”, in due incontri a Roma e a Bologna. È il sottotitolo, “Viaggio al centro del mondo”, la parte più importante: per trovare il suo centro, nel 2016 Eliane Brum si è trasferita nella città di Altamira, nello stato del Parà, nel mezzo dell’Amazzonia brasiliana, a quasi tremila chilometri da São Paulo, dove ha vissuto a lungo, e a quattromila da Ijuí, la sua città natale nel sud del Brasile.

Il testo, anche dal punto di vista stilistico e della forma letteraria, integrando cosmogonie e modi di pensiero dei popoli originari, vuole cambiare totalmente la prospettiva su quello che tutti noi possiamo fare per salvare la foresta pluviale più importante del mondo.

La lotta per la foresta è la lotta contro il patriarcato, contro il femminicidio, contro il razzismo, contro il binarismo di genere.

Eliane Brum

“Non usciremo da questo abisso, che ci siamo costruiti, con lo stesso linguaggio che ci ha portato fino a qui”, afferma Eliane Brum, raggiunta da LifeGate. “Non ne usciremo di certo utilizzando lo stesso linguaggio di quelli che trattano la natura come risorsa, trasformandola in merce”.

“Una cosa per me importantissima: è la necessità di dislocare quello che è centro e quello che è periferia. Il centro oggi sono le enclave naturali, come l’Amazzonia, gli oceani, gli altri biomi. Il centro di questo mondo in collasso climatico deve essere obbligatoriamente dove c’è la vita, non dove sono i mercati. E questo significa mettere al centro altri valori, cioè i valori di quei popoli che permangono come natura, che non si sono separati dalla natura”.

libro eliane brum
Amazzonia © Sellerio

Nel libro l’autrice li definisce popoli-foresta e incarnano, nelle loro differenze, una forma di resistenza a quelli che lo sciamano yanomami Davi Kopenawa definisce il “popolo della merce”. Sono i popoli originari, i quilombolas, discendenti dagli schiavi africani fuggiti e insediatisi nella foresta, i ribeirinhos e i beiradeiros, arrivati in questi territori in epoche successive e che hanno imparato a vivere in relazione con i fiumi e la foresta. Sono popolazioni che, in momenti diversi, la fine del loro mondo l’hanno già conosciuta. E per questo possono insegnarci ad affrontare quella che sarà la fine del nostro mondo, a causa della crisi climatica.

“Sono questi popoli che stanno mantenendo, a costo della propria vita, quello che ancora esiste di naturale, e questo in tutto il pianeta. E per questo sono sotto attacco, in varie forme: con l’estrazione mineraria illegale, con l’agribusiness, con un movimento etnocida. L’estrema destra ha compreso molto bene che colpirne la cultura significa distruggere quello che questi popoli sono. E questo è il modo più efficace per aprire la foresta e gli altri biomi allo sfruttamento, ed è questo che viene fatto. Così parte di questi popoli è stata corrotta”. Come racconta nel libro, spesso queste comunità vengono smembrate, sradicando le persone dalla foresta e portandole a vivere in città, costrette a vivere in insalubri periferie e scoprendo, per la prima volta, di essere poveri.

foresta pluviale amazzonia
L’Amazzonia è la più grande foresta pluviale tropicale della Terra © iStock

Eliane Brum, in questi anni, non ha smesso di schierarsi contro le politiche del precedente governo guidato da Bolsonaro, responsabile di aver favorito gli interessi delle grandi corporazioni, a spese delle comunità indigene. “Va sempre ricordato”, riflette la giornalista, “che quello di Bolsonaro era un governo genocida. È responsabile di oltre 700mila morti per il covid-19 e il suo principale progetto è stato quello di trasformare i territori dell’Amazzonia in terre private nelle mani di pochi. E lo ha portato avanti, scientificamente, portando la foresta ogni volta più vicina al punto di non ritorno”.

Con il nuovo mandato del presidente Lula, la situazione sta migliorando un po’, ma ancora troppo a rilento. “Marina Silva, la ministra dell’ambiente, è riuscita a raggiungere risultati importanti, facendo diminuire la deforestazione e reintroducendo gli organi di supervisione forestali, dismessi dal governo di Bolsonaro. Ma è ancora poco per l’emergenza che stiamo vivendo. Il governo è formato da un fronte ampio, che vede nella coalizione anche distruttori dell’Amazzonia. Inoltre il congresso (il parlamento brasiliano) è quello più a destra e più predatorio della storia della post-democratizzazione dopo la dittatura. È un contesto molto difficile. E in tutto questo gran parte della sinistra è ancora ferma al ventesimo secolo, e crede di poter combattere le disuguaglianze al costo della natura, sfruttandola ed esportando beni. Ecco: questo non è più davvero possibile”.

Quest’anno il territorio dell’Amazzonia per alcuni mesi è stato colpito da una gravissima siccità, assolutamente anomala da queste parti, ora alleviata dalle piogge delle ultime settimane. Anche a causa della mancanza di precipitazioni, nel 2023 si è registrato il record di incendi in Amazzonia, “la maggior parte dei quali è di origine dolosa”, spiega Eliane Brum. “Se qualcuno ancora avesse avuto bisogno di qualunque segnale per capire la gravità della crisi climatica in cui ci troviamo, questo è stato l’anno giusto”.

“Quello che colpisce, dopo un incendio, è il silenzio”, continua l’autrice. “La foresta è molto rumorosa, solitamente, perché è una grande conversazione, fra molti esseri, visibili e invisibili. Quando è in silenzio, è quando c’è morte. Serve cominciare a intendere la foresta in un’altra maniera, com’è successo a me. La parola che definisce la foresta è relazione, una relazione tra molti, dove tutto è interdipendente”.

Immersa in questo mondo da sette anni, dove insieme al compagno e giornalista ambientale Jon Watts ha costruito una casa e riforestato una zona di pascolo degradata, Eliane Brum ha fondato un giornale, Sumauma, dal nome di uno degli alberi più imponenti della foresta amazzonica, che segue da vicino le questioni ambientali e delle popolazioni indigene, vincendo in questi anni diversi premi per gli approfonditi reportage.

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Eliane Brum © Lela Beltrão

“Se io da giornalista difendo l’Amazzonia, che è uno dei centri del mondo, perché dovrei abitare in una periferia come São Paulo?”, si chiede Eliane Brum, rovesciando il ragionamento di un mondo che vede nelle città il fulcro dell’economia e della società. “Serve essere coerenti con quello in cui crediamo, affinché non sia mera retorica. La mia è una risposta etica: ho deciso di mettermi in prima linea in quella che per me è una guerra, mossa contro la natura, da alleata dei popoli-foresta, facendolo nell’ambito del giornalismo, che è dove io riesco ad avere più impatto”.

“In un momento in cui stiamo andando incontro alla possibilità dell’estinzione della nostra propria specie”, continua la scrittrice, “non credo possibile che non facciamo niente. Bisogna agire in conformità all’emergenza climatica. E questo in molti non lo stanno ancora capendo. Per me è importante che le persone percepiscano che la lotta per l’Amazzonia, come per gli oceani e per gli altri biomi, è una lotta di tutti, significa lottare per la nostra vita, per noi umani e per i non umani, perché le altre specie non hanno nemmeno il diritto di scelta su quello che sta succedendo loro”.

Le soluzioni, in questo momento, possono essere solo di radicale cambiamento, perché siano efficaci. “Il negazionismo è la forma che le élite hanno trovato per far pagare ai poveri il conto climatico. Serve che cambiamo il nostro modo di vivere, perché questo modello di vita non è più sostenibile. Non c’è modo per noi di affrontare il collasso climatico senza cambiare profondamente il nostro modello di consumo. Il capitalismo ha distrutto il nostro istinto di sopravvivenza: gli esseri primari lo mantengono, gli esseri umani lo hanno perso. Come possiamo far sì che persone forgiate nel capitalismo recuperino il proprio istinto di sopravvivenza? Come possiamo far sì che queste persone tornino capaci di creare comunità, che il capitalismo ha distrutto? Non ho davvero una risposta per questo. Quello che so è che non abbiamo più tempo”.

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