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Breve storia dell’azionariato attivo
Portare le istanze ambientali, sociali e di governance dentro l’assemblea degli azionisti: è questa la filosofia dell’azionariato attivo.
Le imprese si concentrano solo sugli interessi degli azionisti (shareholders) trascurando tutti gli altri stakeholders (lavoratori, clienti, fornitori, comunità locali)? La società civile, negli anni, ha inventato una soluzione: diventare azionista. È proprio questa la logica dell’azionariato attivo. Acquistando un numero simbolico di azioni, si conquista il diritto di intervenire alle assemblee annuali delle imprese e di mettere i consigli di amministrazione di fronte alle loro responsabilità in campo ambientale e sociale.
I tre obiettivi dell’azionariato attivo
Negli anni le attività degli azionisti critici si sono focalizzate su tre obiettivi principali:
- Farsi portavoce delle comunità del Sud del mondo, che spesso pagano le conseguenze delle attività delle multinazionali ma non sono rappresentate presso la loro casa madre.
- Stimolare la responsabilizzazione e la partecipazione dei piccoli azionisti, divulgando il messaggio per cui la finanza non è solo terra di conquista per investitori istituzionali che smuovono miliardi; al contrario, anche i piccoli possono fare la loro parte.
- Aumentare il peso dei piccoli azionisti nelle decisioni societarie, facendo da contrappeso ai grandi investitori e introducendo ulteriori elementi di valutazione e controllo.
Il pioniere: il Centro Interreligioso per la responsabilità d’impresa
È il 1971 e all’assemblea degli azionisti di General Motors si leva una voce: l’azienda deve chiudere col Sudafrica fino a quando non verrà messa la parola fine al regime dell’apartheid. A lanciare la proposta è l’Interfaith Center on Corporate Responsibility (Centro Interreligioso per la Responsabilità d’Impresa), una coalizione di gruppi religiosi cattolici, evangelici ed ebrei. Da allora l’Iccr non ha mai smesso di pungolare le imprese del Fortune 500, proponendo centinaia di risoluzioni su tematiche che spaziano dal fracking alla prevenzione dell’HIV, dalla speculazione sulle materie prime alimentari alle retribuzioni dei dirigenti.
L’avanzata degli azionisti critici, dalla Svizzera agli Usa
La fondazione Ethos per l’Investimento Sostenibile, nata nel 1997, oggi riunisce ben 222 fondi pensione e investitori istituzionali svizzeri. In poco meno di vent’anni, tra le altre cose, ha presentato alle assemblee generali di Credit Suisse, Zurich Financial Services e Nestlè risoluzioni per vietare l’accumulo delle cariche di presidente e CEO; ha pubblicato studi sulle remunerazioni dei dirigenti delle più grandi società quotate elvetiche; ha promosso la campagna “Say on Pay” per il voto consultivo sul sistema di retribuzioni.
Anche all’altro lato del Pianeta l’azionariato attivo avanza a passi sempre più spediti: secondo un report scritto da Heidi Welsh del Sustainable Investment Institute, nel 2014 negli Stati Uniti sono state presentate ben 454 risoluzioni relative a istanze ambientali, sociali e di governance, segnando un record assoluto.
Foto di apertura © ingimage
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