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I media locali riferiscono di un tentativo di colpo di stato da parte dell’esercito del Sudan, che avrebbe circondato il palazzo presidenziale.
Aggiornamento giovedì 11 aprile – Secondo quanto riportato dall’agenzia Ansa, che cita a sua volta media locali, nel Sudan sarebbe in atto un colpo di stato, per mano dell’esercito. I soldati avrebbero infatti circondato il palazzo presidenziale. Sarebbero inoltre “entrati nella sede dell’emittente radiotelevisiva di Stato che trasmette da alcune ore marce militari, interrotte a più riprese solo per annunciare un imminente discorso a reti unificate”.
Martedì 9 aprile, migliaia di manifestanti si sono riversati per il quarto giorno consecutivo nelle strade di Khartoum, la capitale del Sudan. Scandendo le parole “libertà, libertà”, chiedono le dimissioni del presidente Omar al-Bashir, al potere da ormai un trentennio.
Le proteste si sono concentrate in particolare di fronte alla sede dell’esercito. Chi vuole un cambiamento al vertice della nazione africana esorta i militari ad appoggiare la popolazione. Ma la posizione dei generali appare attendista: a differenza del Servizio nazionale di sicurezza (Niss), i soldati non hanno partecipato al “contenimento” dei cortei. Una repressione che, secondo l’opposizione, avrebbe causato già la morte di 20 persone.
Crowds start to arrive at the sit-in location (Army General Command HQ) Mek Nimir Bridge is open, Cooper bridge is heavily guarded by NISS. Most people on site are exhausted but some are still active, chanting and putting up tents. 08:41am
#اعتصام_القيادة_العامة#SudanUprising https://t.co/OAHk1zKshv— Samir R. Osman ?? #HandsOffSudan (@samir_r_osman) 9 aprile 2019
Nel corso della mattinata, il potente Niss ha lanciato per la prima volta lacrimogeni sulla folla. Parte dei militari, benché ufficialmente non abbiano effettuato alcuno strappo con il presidente attuale, hanno così difeso i manifestanti. Ne sono scaturiti violenti scontri. La polizia ha invece lanciato un appello ai propri agenti “a non intervenire” .
La situazione appare estremamente magmatica. L’obiettivo degli oppositori di al-Bashir è di negoziare una sua uscita di scena, assieme alla nomina di un “governo di transizione”. Ma il rischio è che le forze presenti sul territorio possano arrivare ad uno scontro. Il leader dell’opposizione Omar al-Digeir, proprio al fine di evitare un’escalation, ha chiesto all’esercito di “instaurare un dialogo diretto” con la coalizione di cui fa parte.
Quest’ultima, chiamata “Dichiarazione per la libertà e il cambiamento”, riunisce alcuni partiti e personalità del Sudan. Il ministro della Difesa, il generale Ahmed Awad Ibn Auf, ha risposto che “le forze armate comprendono le ragioni delle manifestazioni e non sono contrarie alle richieste e alle aspirazioni dei cittadini. Ma non lasceranno precipitare il paese nel caos”. Una posizione che, appunto, appare per ora di attesa.
La protesta della popolazione del Sudan, che ha raggiunto un apice in questi giorni, affonda le proprie radici nella situazione economica in cui versa da tempo la nazione africana. La miccia, poi, è stata accesa nello scorso mese di dicembre, quando il governo ha deciso di triplicare il prezzo del pane. Una mossa che potrebbe aver segnato la fine del regime di al-Bashir, che dura dal 1989.
Sudan Protests Surge As Riot Forces Attack People @AlBawabaEnglish https://t.co/AErxcojTCF
— Marwan Asmar (@Asmar1959) 9 aprile 2019
Il leader africano, tuttavia, per ora rifiuta l’idea di presentare le proprie dimissioni. Dal 22 febbraio scorso ha dichiarato lo stato di emergenza, il che aveva di fatto sopito le manifestazioni. Queste ultime però da sabato 6 aprile sono tornate a riempire le piazze di Khartoum. Una data non casuale: lo stesso giorno del 1985 segnò l’avvio della rivolta che permise di rovesciare il regime di Gaafar al-Nimeyri.
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