Superbonus, dopo tre anni è tempo di bilanci

Il superbonus è stato decisivo nel promuovere la riqualificazione degli edifici. Ma si è trattato di una spesa troppo alta a fronte di scarsi risultati.

Il governo italiano ha recentemente modificato l’agevolazione fiscale conosciuta come Superbonus 110 per cento, un incentivo introdotto dal governo Conte bis nel 2020 – sostenuto da Movimento 5 stelle e Partito democratico – per promuovere la riqualificazione energetica degli edifici. L’idea alla base di questo incentivo è stata quella di agevolare le ristrutturazioni di case e condomini, aumentando l’efficienza energetica.

Sono passati quasi tre anni dalla sua introduzione e al di là delle oggettive difficoltà causate dalla confusione politica e fiscale intorno a tale agevolazione, è necessario fare un bilancio per quello che al momento si può ritenere il più grande incentivo fiscale del settore.

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Tra gli interventi inclusi nel superbonus c’è il rifacimento dell’isolamento termico degli edifici © iStock

Che cos’è il superbonus, in breve

Ricordiamo brevemente il suo funzionamento: chi si è avventurato – è proprio il caso di dirlo – a ristrutturare casa può vedersi corrispondere il 110 per cento del valore della spesa. Quindi, per fare un esempio, se i lavori di ristrutturazione ammontano a 100mila euro, il credito d’imposta generato è di 110mila. Per potersi vedere riconosciuto tale emolumento, il proprietario di casa aveva in origine tre modalità:

  • la prima, più lineare, è riscuotere l’agevolazione tramite le detrazioni fiscali (lo stato rimborsa i proprietari sotto forma di detrazione dalle tasse pagate negli anni successivi);
  • la seconda è rappresentata dallo sconto in fattura, quindi in uno sconto direttamente applicato dai fornitori e dalle imprese che potevano poi accollarsi il credito fiscale dei proprietari per recuperarlo successivamente dallo stato sotto forma di detrazione fiscale o cederlo ad altri intermediari per recuperare subito i soldi;
  • la terza modalità, invece, è stata la cessione del credito, che consente ai proprietari di immobili di trasferire la detrazione fiscale a banche, enti o professionisti (i quali applicavano una percentuale: chi comprava il credito al 90 per cento, chi al 95, chi al 99).

Il superbonus 3 anni dopo: spesi 72 miliardi di euro

Con un decreto legge, il governo Meloni ha sancito la fine della terza modalità (ma sono al tavolo delle trattative diverse soluzioni alternative), principalmente per il rischio di frodi e per il costo eccessivo a carico lo stato. Infatti, sono stati spesi 120 miliardi euro in bonus edilizi, circa 6 punti percentuali del prodotto interno lordo (pil), il doppio delle risorse impiegate per affrontare la crisi energetica più grave degli ultimi 50 anni, e che hanno prodotto circa 50 miliardi di buco di bilancio. Il superbonus, da solo, vale 71,8 miliardi di euro, secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea).

Il blocco della cessione ha seminato il panico tra imprese e i singoli proprietari: per le imprese perché, secondo i dati di Unimpresa, il blocco della cessione del credito creerebbe lo stallo di 90mila cantieri, bloccando di fatto 15 miliardi di euro in incentivi; per i singoli proprietari, invece, perché sono loro a dover anticipare i soldi, senza avere la garanzia di poterli riottenere dalle banche, che sono poi il principale soggetto ad aver acquistato il credito dai privati.

Quali opere sono state incentivate dal superbonus

Come detto, al di là degli errori politici che hanno portato a questa situazione (come non aver messo alcun limite per accedere al bonus e non aver avviato un minimo di controllo), dopo tre anni, è il caso di fare un bilancio complessivo di questo bonus edilizio, anche rispetto alla sua efficacia come strumento di politica ambientale. Il primo numero riguarda gli edifici riqualificati: appena 372mila, tra case unifamiliari o bifamiliari e condomini. Questo dato rappresenta solo il 3,1 per cento degli edifici residenziali italiani, che nel complesso sono 12,1 milioni. Insomma, un costo alto per lo stato a beneficio di pochi.

Tra i lavori più frequenti effettuati con il superbonus ci sono stati l’installazione di pannelli solari, la sostituzione degli infissi (bonus infissi), il miglioramento dell’isolamento termico e la sostituzione dell’impianto di riscaldamento con sistemi più efficienti (pompa di calore o caldaie ibride). Un dato positivo è proprio quello relativo al fotovoltaico: secondo i dati Gse, durante il 2022 in Italia hanno usufruito del superbonus 137mila impianti fotovoltaici, cioè il 66 per cento di quelli connessi nell’anno, per 1.117 megawattora di potenza.

Insomma, due impianti su tre sono stati installati grazie al superbonus. Anche il mercato delle pompe di calore è in costante crescita, grazie alle agevolazioni fiscali: nel 2021 il salto è stato del 64 per cento in più, nel 2021 del 37 (fonte European heat pump association). Inoltre, secondo uno studio Nomisma, le famiglie che vivono in cantieri già conclusi potranno risparmiare quasi 1000 euro in bolletta (964 euro, per la precisione) all’anno.

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Ecobonus, sismabonus e superbonus sono un’opportunità per la riqualificazione edilizia del nostro paese © Pexels

Il bilancio delle emissioni

Eppure i dati di fotovoltaico e pompe di calore non bastano a giustificare una spesa così alta, considerando il fatto che il costo implicito di abbattimento delle emissioni, calcolato in euro per tonnellata, in questo caso ha superato la media: secondo un approfondimento pubblicato da Carlo Amenta sulla rivista Energia, tale costo di riduzione della CO2 attraverso gli investimenti finanziati col superbonus (ma non necessariamente causati da esso) è di 170-210 euro per tonnellata. Senza agevolazione, il livello di abbattimento è attorno ai 70 euro, mentre la media storica è inferiore ai 20 euro.

Inoltre, secondo la relazione sullo stato della green economy della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, l’incentivo ha consentito la riduzione dei consumi solo per pochi decimi di punto. “Purtroppo l’impatto del superbonus sui consumi energetici, a fronte di investimenti molto importanti, è stato in realtà molto limitato – si legge nella relazione – complessivamente sono stati risparmiati meno di 200.000 tep (tep è l’acronimo di tonnellata equivalente di petrolio, nda) al 31 dicembre 2021, meno dello 0,5 per cento del consumo energetico del settore”.

Un beneficio per pochi

Oltre ai benefici limitati in termini di riduzione delle emissioni, la versione originale della misura ha mostrato un forte squilibrio favorendo principalmente le fasce sociali più abbienti. Vero è che fin dall’inizio il superbonus si è rivolto a chi possedeva una casa, senza limiti di reddito e tagliando fuori tutta la categoria degli affittuari (che in parte, però, sono stati indirettamente coinvolti attraverso la ristrutturazione dei condomini). Ora però, senza più la cessione del credito, i proprietari rischiano di far fronte a spese non preventivate, eccezion fatta per chi potrà portare in detrazione tali crediti.

Ma anche qui, stiamo parlando di cifre molto alte per poter essere “scaricate” da un normale lavoratore: “Eliminando la possibilità dello sconto in fattura e della cessione del credito si circoscrive la possibilità di giovarsi della misura ai soli contribuenti cosiddetti capienti”, ha spiegato l’economista e redattore de LaVoce.info Leonzio Rizzo. Infatti, il decreto legge prevede che si possa fruire unicamente della detrazione (attualmente del 90 per cento delle spese per il superbonus) spalmata su quattro anni. “Tutti coloro i quali hanno reddito bassi e pagano poche imposte non riuscirebbero a scontare le proprie spese e quindi a beneficiare dell’agevolazione”.

Per fare un esempio, con una spesa di 100mila euro, per poter detrarre l’intera cifra (che, ricordiamolo, va suddivisa in quattro anni di detrazioni), un lavoratore dipendente dovrebbe avere un reddito almeno pari a 69mila euro. A conti fatti, solo il 4 per cento dei lavoratori italiani potrebbe fruire della detrazione piena, mentre il restante 96 per cento ne perderebbe una parte, in misura proporzionale al proprio reddito. Insomma, meno si guadagna, meno si può detrarre: il concetto di “capienza”.

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Andamento costo di intervento di ristrutturazione © Wired

Riqualificazione: cosa dice l’Europa

Anche a livello europeo, il tema della riqualificazione energetica è al centro del dibattito: la Commissione ITRE (Industry, research and energy committee) ha proposto una revisione dell’Energy performance of buildings directive (EPBD), la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici, secondo la quale dal 2028 tutti gli immobili di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero (che diventa 2026 per gli edifici pubblici).

Tutti i nuovi edifici dovranno essere dotati di tecnologie solari entro il 2028, ma l’obbligo vale solo “ove tecnicamente idoneo ed economicamente fattibile”, mentre gli edifici residenziali in fase di ristrutturazione hanno tempo fino al 2032 per conformarsi e devono raggiungere almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033. Gli edifici non residenziali e pubblici dovrebbero raggiungere le stesse classi rispettivamente entro il 2027 e il 2030. Gli edifici monumentali sono esclusi da tale regolamento.

Il disegno di legge sarà sottoposto al voto dell’assemblea parlamentare durante la sessione plenaria di marzo e diventerà la posizione negoziale del Parlamento europeo. I deputati avvieranno quindi i negoziati con il Consiglio per concordare la forma finale del disegno di legge.

Una cosa è certa: adesso ristrutturare costa di più

Tra gli aspetti negativi, oltre ad aver favorito le frodi (9 miliardi sul totale sarebbero rappresentati da truffe accertate ai danni dello stato: è una cifra da prendere con cautela dato che non trova riscontro nei dati resi pubblicamente disponibili dalla guardia di finanza e dall’agenzia delle entrate) e la proliferazione di numerose aziende edili di piccole dimensioni e spesso improvvisate, a scapito della sicurezza sul lavoro, il superbonus avrebbe anche influenzato negativamente il mercato dei beni edili, generando un aumento dei prezzi dei materiali e degli interventi di ristrutturazione.

Lo scorso giugno, la rivista Wired calcolava che il costo medio di un intervento rispetto ad agosto 2021 (quindi già in periodo post-pandemia e con il superbonus alle prime fasi) fosse cresciuto del 22,3 per cento per le abitazioni singole, del 18,8 per i condomini e del 13,6 per le unità funzionalmente indipendenti. All’epoca, il costo a carico dello stato era cresciuto di 2,5 miliardi di euro rispetto ai prezzi di mercato dell’anno prima.

Questo dato però è interessante anche per un altro motivo: il costo di un intervento (comprensivo di manodopera e materiali) è aumentato per tutti, in modo generalizzato e non solo per chi ha beneficiato del superbonus. E ora che il Superbonus non c’è più – o almeno non nella forma originale – è chiaro come gli incentivi abbiano “occultato” un aumento dei costi a carico del cittadino. Non è detto che il settore dell’edilizia torni a essere quello di prima, quindi d’ora in poi ristrutturare rischia di costare molto più di quando questi incentivi non c’erano.

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