Almeno 4.000 specie selvatiche sono ancora vittima del traffico illegale

Il World wildlife crime report mostra i numeri del traffico illegale di animali, specie protette e flora selvatica presente ancora oggi nell’80% dei paesi.

  • 4mila specie selvatiche e 23 miliardi di dollari sono i numeri del traffico illegale
  • vengono trafficati illegalmente più di 100 milioni di animali e di piante
  • con questi numeri non c’è nessuna fiducia per raggiungere gli obiettivi del 2030, secondo le Nazioni Unite

Il tutto il mondo sono più di 4mila le specie prese di mira dai trafficanti, che vanno ad alimentare un commercio illegale di circa 23 miliardi di dollari all’anno. Grazie alle indagini e al lavoro dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) è stato possibile scoprire le recenti tendenze del traffico illegale di specie protette, sia di fauna che di flora, fornendo una valutazione globale delle causa e delle implicazioni della criminalità organizzata.

I dati sono stati esposti all’interno della terza edizione del World wildlife crime report in cui, come nelle precedente due edizioni (2016 e 2020), sono stati approfonditi diversi casi di studio sottolineando le valutazioni quantitative del traffico mondiale di specie selvatiche. Gli altri punti su cui si è posta molta attenzione nel documento riguardano: i danni e gli impatti che questi crimini stanno provocando alla fauna e alla flora selvatica, i fattori che spingono la criminalità a indirizzare le loro azioni verso questo mondo e gli interventi correttivi che hanno migliorato, o puntano a migliorare, la situazione.

Il traffico illegale va oltre ai numeri

I ricercatori hanno esaminato oltre 140mila casi di sequestro di fauna selvatica avvenuti dal 2015 al 2021. Tra le specie più presenti nei sequestri troviamo: coralli, coccodrilli ed elefanti. Molti di questi crimini sono stati indicati come fattore trainante dell’estinzione locale, e globale, di specie rare come le orchidee, le piante succulente, rettili e pesci – specie che purtroppo ricevono poca attenzione dal pubblico. Ad esempio, anche negli studi precedenti si era scoperto che i traffici avevano ridotto le popolazioni di scimmie ragno (Ateles) e di tapiro di Baird (Tapirus bairdii) del 99,9 per cento.

Le stime suggeriscono che il commercio illegale potrebbe valere fino a 23 miliardi di dollari all’anno, con oltre 100 milioni di piante e animali trafficati. Il 24 per cento dei vertebrati terrestri conosciuti al mondo rientrano nel commercio illegale di fauna selvatica. In totale sono stati sequestrate circa 16 mila tonnellate di merce: parti del corpo, ossa e pellame di animali come pangolini, cavallucci marini e grandi felini. Nella maggior parte dei casi utilizzati per le diverse medicine locali e tradizionali. Altri animali sequestrati come pappagalli e iguane (di varie specie) utilizzati e sfruttati come animali domestici oppure le orchidee come piante ornamentali. Come tengono a precisare i ricercatori, sfortunatamente: “i livelli effettivi di traffico di specie sono molto superiori ai sequestri registrati”. Sono stati 162 i paesi coinvolti nei sequestri, tuttavia, nonostante in alcuni paesi alcuni prodotti non sono stati sequestrati non significa che non ci sia il commercio illegale, ma piuttosto c’è una mancanza di applicazione corretta delle norme.

corno di rinoceronte
Sono circa 4 mila le specie prese di mira dai trafficanti ©Roberto Schimdt/AFP

Nessuna speranza per gli obiettivi delle Nazioni Unite

C’è da sottolineare che negli ultimi anni, 2020 e 2021, i sequestri sono diminuiti andando contro agli aumenti degli ultimi due decenni. I ricercatori però non esultano poiché in questi anni diversi fattori, legati alla pandemia di Covid-19, sono cambiati come l’applicazione e l’attenzione alle norme, la riduzione del traffico globale o il passaggio al traffico digitale, più difficile da individuare. L’Unodc punta a porre fine al traffico di specie come obiettivo principale di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Purtroppo però i dati pubblicati dal report non danno nessuna fiducia e nessuna speranza che questo obiettivo sia raggiunto entro il 2030. Per far fronte e combattere sia la domanda che l’offerta, è necessaria una migliore applicazione delle normative, nonché una migliore attuazione della legislazione esistente ma soprattutto un maggiore sforzo per il monitoraggio e la ricerca.

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