Anche se 7 senatori repubblicani hanno votato “colpevole”, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato assolto dall’accusa di impeachment per la seconda volta.
Assolto dal Senato: si conclude così, in cinque giorni, il secondo processo di impeachment nei confronti dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. I 50 senatori democratici hanno votato a favore dell’impeachment, insieme a sette repubblicani. Un risultato unico, ma non sufficiente a raggiungere la soglia dei 67 voti (due terzi dei 100 senatori) necessari per la condanna.
Trump era accusato di aver fomentato l’assalto al congresso del 6 gennaio, istigando i propri sostenitori a lottare contro i risultati dell’elezione del 3 novembre – vinta da Joe Biden con uno scarto di oltre 7 milioni di voti e 74 grandi elettori –, ma che Trump ha sempre contestato e definito illegittima.
Come è andato il processo a Trump per l’impeachment
La difesa di Trump, guidata dagli avvocati Bruce Castor e David Schoen, ha fatto leva su un vizio legale, sostenendo che non fosse possibile condannare un presidente il cui mandato è già scaduto.
Le argomentazioni sono però state esposte in modo confusionario e poco convincente, tanto da far infuriare Trump che seguiva il processo dalla sua residenza a Mar-a-Lago, in Florida. I due avvocati, ad esempio, hanno invertito l’ordine dei loro interventi all’ultimo minuto dopo aver ascoltato la presentazione dell’accusa, che secondo Castor stesso “è stata preparata molto bene”.
Castor ha inoltre presentato un montaggio in cui si vedono diversi politici democratici utilizzare ripetutamente la parola “fight”, lotta, con l’intento di dimostrare che l’espressione è ormai di uso comune nel linguaggio politico. Nonostante tutti i video fossero stati tagliati in modo da lasciare fuori qualsiasi contestualizzazione del termine, in molti casi è chiaro come la parola “lotta” fosse utilizzata in modo figurativo, e non con l’obiettivo di provocare un’effettiva rivolta armata.
L’accusa, invece, ha mostrato video inediti dell’attacco al Congresso del 6 gennaio che testimoniano come i sostenitori di Trump, alcuni dei quali armati, si siano avvicinati in modo preoccupante ai deputati e senatori riuniti a Capitol Hill. I reati di Trump non possono rimanere impuniti, hanno sostenuto i procuratori, e l’assoluzione lascerebbe aperta la possibilità che questi vengano ripetuti.
Al momento del voto, sette repubblicani hanno votato a favore della condanna: il margine bipartisan più ampio mai raggiunto, ma ancora lontano dai 17 voti necessari per procedere con la condanna (oltre ai 50 dei democratici).
I commenti e il nodo dell’incandidabilità
Poco dopo l’annuncio dei risultati al Senato, Trump ha rilasciato una dichiarazione per ringraziare il proprio team di avvocati e denunciare il comportamento del Partito democratico: “È triste pensare che ancora oggi, negli Stati Uniti, un partito politico abbia la possibilità di infrangere le leggi, diffamare le forze dell’ordine, istigare le folle, perdonare i vandali, e trasformare la giustizia in uno strumento di vendetta politica”.
Trump ha anche sottolineato come il tentativo di mettere fine alla sua carriera politica sia fallito: “Il nostro storico, patriottico e bellissimo movimento per rendere l’America di nuovo grande è appena cominciato”.
Un’eventuale condanna avrebbe reso Trump mai più candidabile: dopo l’impeachment, infatti, sarebbe bastato un voto del Senato a maggioranza semplice per ottenere questo risultato. Trump ha più volte accennato alla possibilità di correre nuovamente per la Casa Bianca nel 2024, ma al momento non c’è alcuna conferma ufficiale a riguardo.
La questione del 14esimo emendamento
Sembra però che la questione non sia finita. I democratici (che hanno la maggioranza al Senato) potrebbero ora utilizzare il 14esimo emendamento per evitare che Trump si ricandidi. Nella terza sezione infatti spiega come “nessuno potrà essere senatore o rappresentante nel Congresso, o elettore per il presidente e il vice-presidente o potrà tenere qualsiasi ufficio, civile o militare, presso gli Stati Uniti o presso qualsiasi Stato, se, avendo previamente prestato giuramento […] di difendere la Costituzione degli Stati Uniti, abbia preso parte ad una insurrezione o ribellione contro di essi o abbia dato aiuto o sostegno ai loro nemici”.
#14thAmendment trend car des dem n'ont pas écarté de tenter de rendre Trump inéligible via ce biais (vote à simple majorité). Mais débat constitutionnel et bataille devant les tribunaux pendant des mois le cas échéant pour trancher si juste applicable aux sécessionnistes de 1860s pic.twitter.com/g074kL5PVN
Trump è stato il primo presidente nella Storia americana a essere stato messo sotto impeachment due volte.
La prima procedura era scattata a dicembre 2019 in seguito alla diffusione di una telefonata tra l’allora presidente americano e il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky. Trump aveva minacciato di bloccare l’invio di aiuti militari se Zelensky non avesse dato ordine di avviare alcune indagini riguardanti i presunti affari illeciti svolti da Hunter Biden, figlio di Joe Biden, con Burisma Holdings, un’azienda basata a Kiev e attiva nel settore energetico. Trump era stato accusato di abuso di potere.
La notizia dell’impeachment aveva fatto grande scalpore, e il processo era stato seguito dai media di tutto il mondo. Alla fine però, un solo senatore repubblicano aveva votato a favore della condanna: Mitt Romney, dello Utah.
Gli altri impeachment della storia
Prima di Trump soltanto altri due presidenti, entrambi democratici, sono stati sottoposti alla procedura di impeachment: Andrew Johnson, nel 1868, e Bill Clinton, nel 1998. Il repubblicano Richard Nixon, invece, si è dimesso poco prima che fosse dichiarato l’impeachment, nel 1974.
Ormai più di 150 anni fa, Johnson è stato accusato di aver violato il Tenure of office act, una legge che vietava al presidente di licenziare figure importanti dell’esecutivo senza prima ricevere l’approvazione del Senato. Johnson, invece, aveva tentato di rimuovere l’allora Segretario alla guerra Edwin Stanton contro la volontà del Congresso. Il presidente è stato salvato dal Senato per un solo voto.
Nel 1974, il presidente repubblicano Richard Nixon è stato travolto dallo scandalo Watergate, partito dall’infiltrazione di alcuni uomini del Partito Repubblicano nella sede del Comitato nazionale democratico – sito al tempo nel Watergate complex di Washington – per intercettare le operazioni del partito avversario. Quando il suo coinvolgimento nelle operazioni di spionaggio è diventato palese, Nixon ha preferito dimettersi piuttosto che essere messo sotto impeachment.
Infine, alla fine degli anni ’90 Bill Clinton è finito al centro del dibattito per la sua relazione extraconiugale con Monica Lewinsky, una ragazza di 22 anni che lavorava alla Casa Bianca come stagista. Al tempo, Clinton era già stato accusato da Paula Jones di molestie, e durante il processo per quel caso ha giurato – mentendo – di non aver mai avuto alcuno scambio inopportuno con Lewinsky. Pochi mesi dopo, il presidente ha ammesso di aver mentito, ed è stato messo sotto impeachment quando è stata resa pubblica la registrazione di una conversazione privata in cui Lewinsky parlava apertamente della loro relazione. Clinton è stato accusato di falsa testimonianza e ostruzione alla giustizia, ma è stato assolto dal Senato nel 1999.
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