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Stop al muro con il Messico e al “muslim ban”. Il nuovo presidente Biden ha intenzione di modificare profondamente le politiche del suo predecessore.
Nel suo primo giorno da presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha messo in chiaro le sue priorità firmando un totale di 17 ordini esecutivi riguardanti diversi ambiti, dall’economia alla sicurezza nazionale, passando per la gestione della pandemia di Covid-19 e l’emergenza ambientale.
Sebbene molte delle idee di Biden siano incompatibili rispetto a quelle del suo predecessore, il divario è particolarmente rilevante in tema di immigrazione: dopo quattro anni di chiusura e respingimento, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha infatti promesso di portare a termine un’ampia riforma delle politiche migratorie, facilitando i processi per ottenere la cittadinanza americana e proteggendo le persone che arrivano negli Stati Uniti in cerca di una vita migliore.
L’immigrazione è stata al centro del discorso politico di Donald Trump fin dalla sua prima campagna elettorale, nel 2016: “Costruiremo un grande muro sul confine meridionale, e il Messico pagherà il 100 per cento dei costi” prometteva l’ormai ex presidente durante un comizio in Arizona, pochi mesi prima di essere eletto.
Trump ha in realtà costruito appena 24 chilometri del tanto acclamato muro con il Messico e ne ha rafforzati circa 500 dei mille eretti dalle precedenti amministrazioni, da Clinton a Obama. Per l’impresa, l’ultima amministrazione repubblicana ha speso 11 miliardi di dollari.
Il 20 gennaio Biden ha immediatamente bloccato la costruzione di ulteriori tratti del muro e ha messo fine allo stato di emergenza dichiarato da Trump nel febbraio 2019, un escamotage per superare l’opposizione del Congresso e indirizzare miliardi di dollari pubblici verso il progetto. Secondo una stima del Pentagono, la decisione di fermare i lavori farà risparmiare agli Stati Uniti 2,6 miliardi di dollari.
Biden ha messo in chiaro le sue priorità in termini migratori anche ristabilendo la centralità del Deferred action for childhood arrivals (Daca), un programma firmato da Obama nel 2012 con il quale viene data la possibilità di rimanere in territorio americano ai cosiddetti “dreamers”, i giovani arrivati negli Stati Uniti in modo irregolare quando erano ancora minorenni.
Trump ha provato diverse volte a eliminare il programma, ma la decisione è sempre stata contestata da diversi tribunali e anche dalla Corte suprema. Nonostante questo, negli ultimi quattro anni troppo spesso i diritti dei dreamers non sono stati rispettati, e lo scorso 29 luglio l’allora presidente ha dato ordine di non accettare più domande da parti di nuovi immigrati.
Biden intende invece riaffermare l’importanza della misura pensata da Obama e ha inoltre in programma di mettere in atto un programma mirato a dare la cittadinanza americana a circa undici milioni di immigrati irregolari nell’arco dei prossimi otto anni.
Nel suo primo giorno al Resolute desk, la scrivania dello Studio ovale, Biden ha anche messo fine al “muslim ban”, il termine con il quale viene indicata una serie di ordini esecutivi e proclamazioni presidenziali con cui Trump ha di fatto bloccato l’accesso negli Stati Uniti per gli immigrati provenienti da una serie di Paesi in prevalenza musulmani, tra cui Iran, Siria e Yemen, ma anche Venezuela e Corea del Nord.
Biden ha definito il criterio “una macchia sulla nostra coscienza nazionale”, affermando che la decisione è in piena contraddizione con la “lunga storia” degli Stati Uniti “nell’accogliere persone di tutte le religioni, insieme a coloro che non hanno fede”. Il nuovo presidente ha quindi revocato tutte le restrizioni collegate al “Muslim ban” e ha dato istruzione alle varie agenzie di competenza per ricominciare a emettere visti.
Nei primi cento giorni della sua amministrazione, Biden ha promesso di prendere ulteriori decisioni volte a invertire nettamente la rotta rispetto alle politiche messe in atto dalla precedente amministrazione.
Tra gli episodi più tristi dei quattro anni di Trump troviamo infatti la decisione, da molti definita disumana, di separare i genitori che cercavano di entrare illegalmente nel Paese dai loro bambini, i quali venivano rinchiusi in “gabbie” all’interno di strutture sporche e sovraffollate gestite dal dipartimento della Salute e dei Servizi umani (Hhs).
Il sistema di “tolleranza zero” è cominciato nel 2017 per proseguire fino a quando, messo all’angolo dalla pressione mediatica e dall’opinione pubblica infuriata, Trump ha fermato le separazioni nel giugno del 2018. Riunire le famiglie ormai separate, però, si è rivelata essere un’impresa non facile, soprattutto per un’amministrazione che troppo spesso ha preferito ignorare il problema piuttosto che impegnarsi per risolverlo. Nel suo programma, Biden ha affermato di voler dare priorità alla riunificazione di genitori e figli che sono stati divisi a causa di politiche “crudeli e insensate”.
Il nuovo presidente punta inoltre a ripristinare i programmi accoglienza per i rifugiati, spesso lasciati da parte negli ultimi quattro anni. Nel 2020, ad esempio, Trump ha fissato a 18mila il numero masso di rifugiati accoglibili dagli Usa, un calo dell’84 per cento rispetto alla soglia di 110mila decisa da Obama nel 2016.
Biden vuole quindi ripristinare un sistema di accoglienza funzionante e accessibile. Per farlo intende ad esempio mettere fine al “metering”, il sistema che limita il numero di domande di asilo ricevibili ogni giorno e che contribuisce così a creare campi di migranti nelle zone di confine, teatri di abusi e violenze.
L’apertura di Biden verso politiche migratorie più rilassate ha ridato speranza a migliaia di immigrati irregolari che sperano di costruirsi un futuro negli Stati Uniti, sia per coloro che già risiedono nel Paese sia per chi invece sogna di raggiungerlo. L’entusiasmo iniziale ha però portato anche a conseguenze poco desiderabili, e rischia di mettere in difficoltà la nuova amministrazione. Pochi giorni prima dell’insediamento di Biden, ad esempio, una carovana di 9mila migranti è partita dall’Honduras per raggiungere il confine tra Usa e Messico, ma le forze dell’ordine guatemalteche hanno bloccato il passaggio del gruppo ricorrendo anche a metodi violenti.
Un rappresentante del team del nuovo presidente ha quindi chiarito che “la situazione al confine non cambierà nel giro di una notte”, e ha invitato i migranti a posticipare il viaggio verso gli Stati Uniti, affermando che “gli aiuti stanno arrivando, ma ora non è il momento di mettersi in viaggio”.
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