Cosa è riuscito a fare Donald Trump da presidente degli Stati Uniti

Cosa è riuscito a fare Donald Trump da presidente degli Stati Uniti

Ambiente, economia, clima e diritti. Cosa ha fatto l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante il suo mandato.

Tempo di lettura: 23 min.

Il 20 gennaio 2021 finirà un’epoca politica. Dopo quattro anni, Donald Trump sarà costretto ad aprire la porta della Casa Bianca. Non stringerà la mano al nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden e non sarà presente al cerimoniale del passaggio di consegne, nonostante ad imporlo fossero regole non scritte di rispetto tra avversari politici. A nulla, inoltre, sono valsi i ricorsi che la squadra di agguerriti avvocati repubblicani ha depositato in numerosi stati federali americani, con la speranza di poter ribaltare il risultato elettorale. Il 20 gennaio finirà un’epoca politica. Più lungo, più delicato, più difficile e più tortuoso sarà far sì che a finire sia anche un’epoca culturale

I quattro anni di Donald Trump sono stati, infatti, quattro anni di legittimazioni, sdoganamenti, tabù infranti. Alla Casa Bianca è passato il principio secondo il quale si può contestare la necessità di combattere i cambiamenti climatici. Si può uscire dall’Accordo di Parigi. Si possono contestare tutte le prove che la comunità scientifica ha mostrato, per decenni, sul riscaldamento globale e sulla sua origine antropica. 

È passato il principio secondo il quale è giusto impedire con la forza ai migranti di attraversare le frontiere. È giusto arrestarli e rinchiuderli. È legittimo separare le famiglie, strappando in modo disumano i bambini ai loro genitori. 

È passato il principio economico del mors tua vita mea, che nell’ottica isolazionista e protezionista di Donald Trump ha assunto le forme dei dazi doganali, della guerra commerciale, del “noi contro di voi”. È stata poi rispolverata la ricetta del taglio delle tasse ai più ricchi, per la mai provata teoria liberista secondo la quale se i ricchi possono investire, fare impresa e produrre, prima o poi le briciole pioveranno anche sui più poveri. 

È passata l’idea secondo la quale gli organismi internazionali delle Nazioni Unite possono essere di fatto boicottati se non si adeguano alle nostre idee. È stato così per l’Unesco (pratica per la verità cominciata già durante gli anni di Barack Obama, benché per ragioni diverse), dell’Organizzazione mondiale della sanità, tacciata di aver “raccontando falsità sul coronavirus”, nel tentativo di mascherare un oggettivo fallimento gestionale, politico e amministrativo da parte del governo di Washington, della stessa Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. È stato il tentativo di affossare il multilateralismo. Una forma di egoismo e arroganza che si fa pensiero e azione politica. 

È passato, in una parola, il “trumpismo”. Figlio di quella parte di America ancora chiusa in sé stessa, traviata dal falso mito del sogno americano, grondante di individualismi, di distorti patriottismi e inneggiante ad un American Exceptionalism tutto da dimostrare. Ed è questa la più grande sfida che avrà di fronte a sé Joe Biden: accompagnare la fine di un’era politica con la fine di un’era culturale. Parlare alle 74 milioni di persone che hanno votato per il “trumpismo”. 

2017 – Il primo anno

Nei primi dodici mesi alla guida della sua nazione, Donald Trump aveva già marcato una distanza enorme con il suo predecessore, il democratico Barack Obama. Il 1 giugno 2017 aveva annunciato la volontà di abbandonare l’Accordo di Parigi sul clima, confermando le proprie posizioni risolutamente climatoscettiche. In realtà, per uscire dall’Accordo erano necessari anni, il che ha portato a terminare la procedura nel 2020, proprio nel giorno delle elezioni presidenziali.

In pratica, però, in tutte le Conferenze sul clima delle Nazioni Unite organizzate negli anni della presidenza dell’uomo d’affari gli Stati Uniti hanno cercato palesemente di rallentare il processo di transizione ecologica necessario per salvare il mondo dai cambiamenti climatici.

Il sostegno alle fonti fossili

A livello nazionale, sempre nel primo anno di attività, Trump ha ottenuto dal Congresso la revoca del divieto di caccia ai predatori che era stato introdotto da Barack Obama. Quindi ha annunciato la ripresa delle esplorazioni petrolifere nell’oceano Artico. Ha poi ridotto in modo drastico l’estensione di due aree protette nello stato dello Utah. E ha rilanciato i grandi progetti di nuovi oleodotti: il Keystone XL e il Dakota Access. Trump ha inoltre abolito il Clean power plan, norma che imponeva alle centrali termiche di ridurre le proprie emissioni di CO2 del 32 per cento, entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.

Le proteste contro il Dakota Pipeline e per i diritti dei nativi americani il 10 marzo 2017 a Washington Brendan Smialowski/Getty Images

Alla testa dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Environmental protection agencyEpa) è stato scelto poi un sostenitore delle fonti fossili, Scott Pruitt. Sostituito il 20 aprile 2018 da Andrew R. Wheelerex lobbista pro-carbone, che è tuttora in carica. Il 24 agosto 2017, Trump ha quindi firmato una raccomandazione finalizzata ad incrementare le esplorazioni minerarie.

Il pugno duro su migranti e omosessuali

Anche in materia di migrazioni, il presidente repubblicano ha fatto discutere, imponendo il cosiddetto Muslim ban, testo che vieta in modo permanente l’ingresso sul territorio statunitense ai cittadini di sette nazioni giudicate “ostili”. E ha ritirato la partecipazione del suo paese dal Global compact on migration, l’accordo sulle migrazioni delle Nazioni Unite. Ha quindi cercato di smantellare la riforma sanitaria “Obamacare” del suo predecessore e ha cancellato dal sito internet della Casa Bianca la pagina dedicata al tema dei diritti Lgbt.

Alcune proteste a Miami, in Florida, contro i tagli effettuati da Trump su Madicaid da cui dipendono migliaia di persone © Joe Raedle/Getty Images

Il 20 giugno 2018 il presidente americano ha però dovuto fare retromarcia sulla questione della spietata separazione dei bambini dai genitori imposta alle famiglie di migranti che hanno varcato illegalmente la frontiera con il Messico. La vicenda aveva suscitato sdegno in tutto il mondo e alla fine anche Donald Trump si è convinto a fare un passo indietro, firmando un decreto presidenziale che ha in parte rimediato al problema. Il provvedimento, tuttavia, conferma la separazione degli adulti e non vale per le famiglie (bambini inclusi) che erano già state divise prima della firma del decreto.

Le scelte dirompenti su Israele, Iran e Unesco

In politica estera, ha fatto scalpore la decisione dirompente di riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato d’Israele (con conseguente spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv alla Città santa), che ha suscitato una violenta reazione in Palestina. Trump ha poi rifiutato di certificare l’accordo con l’Iran raggiunto da Obama ed è uscito dall’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura), definendola “un organismo anti-israeliano”.

israele ambasciata stati uniti
I violenti scontri al confine tra Palestina e Israele nel giorno dell’inaugurazione dell’ambasciata americana a Gerusalemme, nel maggio 2018 © Mohammed Abed/Afp/Getty Images

Focus – L’economia negli anni di Trump

Quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti era al 4,7 per cento.

Fino alla crisi del coronavirus, la quota di persone prive di un impiego è scesa ulteriormente, arrivando al punto più basso degli ultimi 50 anni nel settembre del 2019, al 3,5 per cento.

Complice la pandemia, ad aprile il tasso di disoccupazione è tornato a crescere fortemente, arrivando al 14,7 per cento. Quindi è sceso al 7,9 per cento a settembre e al 6,9% a ottobre.

Nel 2016, ultimo anno dell’era Obama, la crescita economica degli Stati Uniti è stata dell’1,6 per cento.

L’anno successivo, ha raggiunto il 2,3 per cento.

Nel 2018 l’economia americana ha ulteriormente accelerato, arrivando ad un +2,9 per cento. Per poi scendere al 2,3 per cento nel 2019.

Con una riforma fiscale del 2017, Donald Trump ha ridotto fortemente le imposte sui redditi più elevati e ha abbassato quelle sulle società dal 35 al 21 per cento.

Tali misure hanno certamente sostenuto la crescita, ma hanno portato anche il deficit di bilancio a crescere del 26 per cento rispetto all’anno precedente, sfiorando i mille miliardi di dollari.

Con le misure anti-crisi del coronavirus, tuttavia, il deficit è triplicato nel 2020, superando i tremila miliardi di dollari. Il debito pubblico, di conseguenza, è cresciuto a 26.900 miliardi di dollari.

2018 – Il secondo anno

Anche nel corso del suo secondo anno da presidente, Donald Trump ha seguito un linea di rottura. Chi si aspettava infatti una strategia politica più diplomatica è rimasto deluso.

La riforma fiscale, i dazi e la politica protezionistica

Proprio alla fine del primo anno di attività il Senato ha approvato la riforma fiscale che, dall’anno successivo in poi, ha disposto una drastica riduzione delle imposte per i cittadini statunitensi. Un taglio di 1.400 miliardi di dollari spalmato su dieci anni, del quale hanno beneficiato soprattutto i più ricchi. È stato calcolato infatti che l’1 per cento di cittadini con un reddito superiore ai 500mila dollari ha risparmiato nel 2019 60 miliardi di dollari. Esattamente la stessa somma che si è invece divisa il 54 per cento di americani che guadagnano tra 20mila e 100mila dollari all’anno.

Nel 2018 Philadelphia risultava la più povera delle 10 città più grandi degli Stati Uniti, con un tasso di povertà del 26 per cento. A livello nazionale era del 13 per cento © Spencer Platt/Getty Images

Nel corso del 2018, poi, Donald Trump ha scelto la carta protezionistica in materia di commercio estero. A gennaio, ha imposto una tassa del 30 per cento sulle importazioni di pannelli solari provenienti dall’Asia. Misura con la quale ha puntato – teoricamente – a salvaguardare le produzioni americane.

Ha proceduto poi con decisioni analoghe su acciaio e alluminio, sottoponendo anche tali materie prime a dazi doganali. E suscitando le ire non solo dei produttori asiatici ma anche dell’Unione europea. Gli Stati Uniti di Donald Trump hanno quindi concluso nuovi accordi commerciali con Messico, Canada e Corea del Sud.

CO2 “libera” per i costruttori di auto e sostegno ai petrolieri

Successivamente, Trump ha minacciato di seguire la stessa linea sul comparto automobilistico. E ha alleggerito gli standard richiesti ai produttori americani in termini di emissioni di CO2. All’inizio di dicembre, poi, è stata annunciata la volontà di sopprimere entro tre anni tutte le sovvenzioni per l’acquisto di auto elettriche e di sistemi basati sulle energie rinnovabili. La decisione è stata confermata dal consigliere economico della Casa Bianca Larry Kudlow.

trump stati uniti
Nel corso dei primi due anni del suo mandato, il presidente Donald Trump non ha fatto mancare il proprio sostegno alle fonti fossili © Chris Kleponis/Pool/Getty Images

Inoltre, a settembre, Washington ha avviato il procedimento legale col quale si punta a modificare la normativa in materia di emissioni di metano. Una scelta che consente alle compagnie petrolifere di poter liberare più gas nell’atmosfera nel corso delle loro attività di estrazione del combustibile fossile.

Il rilancio della filiera del carbone

Come se non bastasse, all’inizio di dicembre il governo ha proposto di abrogare un’altra norma che era stata adottata nel corso dei mandati di Obama: quella che limita le emissioni di gas ad effetto serra delle nuove centrali elettriche a carbone.
Il progetto di Trump è di autorizzare la dispersione nell’atmosfera di 1.862 chilogrammi di CO2 per megawattora prodotto, contro le 635 figlie delle decisioni di Obama. “Si tratta di imposizioni ingiuste. Vogliamo uniformare le regole del gioco”, ha affermato Wheeler.

carbone polonia
L’Ipcc ha puntato il dito contro le fonti fossili come il carbone. Se non le si taglieranno, addio agli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima © Sean Gallup/Getty Images

L’uso politico della Corte suprema

Sulla giustizia, intensa è stata anche l’azione sulla Corte suprema, la stessa che aveva ad esempio bloccato in un primo momento il Muslim Ban. Da tempo Donald Trump voleva infatti far sì che l’organismo fosse il meno possibile incline a rallentare la sua azione di governo. Così, è riuscito ad agosto ad imporre l’ingresso nella Corte dei giudici conservatori Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh. Modificando così radicalmente gli equilibri all’interno dell’organismo, che ora “pende” decisamente a destra.

A pochi giorni dalle elezioni del 2020, inoltre, è morta Ruth Bader Ginsburg, nota anche con il soprannome di Notorious RBG. Fu la seconda donna della storia ad essere nominata giudice della Corte suprema statunitense, dove non ha mai smesso di combattere per ciò in cui credeva.

Donald e Melania Trump davanti alla bara di Ruth Bader Ginsburg alla Corte Suprema il 24 settembre 2020 © Alex Wong/Getty Images

Donald Trump ha voluto che il suo posto venisse preso da Amy Coney Barrett: 48 anni, cattolica, conservatrice e anti-abortista. Il suo insediamento è stato approvato dal Senato con 52 voti a favore e 48 contrari: è il primo giudice dal 1869 a non ricevere alcun voto dal partito d’opposizione, in questo caso quello democratico. “Sarò indipendente dalla politica e dalle mie preferenze”, ha chiarito lei dopo il giuramento. Questo sarà da vedere.

Il dialogo con la Corea del Nord e il ritiro dalla Siria

In tema di politica estera, il secondo anno di presidenza Trump è stato segnato principalmente dalla riapertura – benché difficoltosa – del dialogo con la Corea del Nord. Un riavvicinamento delle diplomazie dei due paesi culminato il 12 giugno con lo storico incontro con il leader nordcoreano Kim Jong-un, avvenuto a Singapore.

Alla fine del 2018, il presidente americano ha annunciato il ritiro delle truppe dalla Siriaconcedendo quattro mesi al Pentagono per far rientrare i circa duemila soldati ancora impegnati nella nazione mediorientale.

Il braccio di ferro sul muro alla frontiera meridionale

Sulla questione delle migrazioni, Donald Trump ha deciso di mantenere una linea di totale chiusura. Convinto della necessità di costruire un muro alla frontiera con il Messico, ha chiesto al Congresso di finanziare il progetto. Dopo le elezioni di midterm, tuttavia, la maggioranza alla Camera è andata all’opposizione democratica. Che si è rifiutata di concedere i fondi.
Ne è scaturito il cosiddetto “shutdown”, ovvero il blocco parziale dell’amministrazione pubblica, in attesa dell’approvazione del bilancio. “Non so quando il governo riaprirà. Ma posso dirvi che non riaprirà fino a quando non avremo un muro, o una recinzione, come vogliano chiamarla”, aveva affermato il presidente parlando nello studio ovale dopo una chiamata ai militari Usa per gli auguri di Natale.

migranti carovana messico stati uniti
I migranti della carovana partita dall’Honduras arrivati a Tijuana, in Messico, al confine con gli Stati Uniti © Guillermo Arias/Afp/Getty Images

A novembre, inoltre, il governo americano aveva annunciato la volontà di impedire ai migranti arrivati non legalmente sul proprio territorio di depositare una domanda d’asilo. Infine, il presidente ha mantenuto una totale chiusura di fronte alla carovana di migranti partita dall’America centrale per tentare di raggiungere la frontiera degli Stati Uniti.

Focus – Il disimpegno sul clima

Il 1 giugno del 2017 il presidente Donald Trump ha annunciato la volontà di uscire dall’Accordo di Parigi, raggiunto nella capitale francese al termine della Cop 21, la ventunesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite.

Una decisione che era nell’aria, ma che ha di fatto isolato gli Stati Uniti a livello internazionale.

Sono infatti molti i governi guidati da “climatoscettici” che hanno scelto la via del disimpegno (dalla Russia al Brasile), ma quello di Washington è stato l’unico a decidere di portare avanti una procedura di uscita dall’Accordo di Parigi.

D’altra parte, l’orientamento dell’amministrazione Trump è stato chiaro sin dall’inizio. Numerose norme per la difesa dell’ambiente e per la diminuzione delle emissioni di gas ad effetto serra che erano state approvate durante i mandati del democratico Barack Obama sono state eliminate o svuotate di forza.

Così, sono state ad esempio incentivate nuove trivellazioni nell’area artica con l’obiettivo di trovare giacimenti di gas e petrolio.

Nonostante gli enormi rischi che tali attività pongono non soltanto in termini ambientali (per i pericoli legati a possibili incidenti in loco) ma anche climatici (per via dell’impatto sul riscaldamento globale della combustione di fonti fossili).

Il disimpegno degli Stati Uniti è stato toccato con mano anche nel corso delle ultime Conferenze mondiali sul clima organizzate dall’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

A partire dalla Cop 23 di Bonn, nel 2017, le delegazioni ufficiali del governo americano sono state ridotte al minimo. Così, città, università, stati federali, aziende e personaggi pubblici hanno cercato di “sostituire” il vuoto lasciato dall’esecutivo, organizzando eventi e conferenze alle quali hanno partecipato numerosi esponenti anche del mondo dello spettacolo.

Come nel caso, in questa immagine, dell’attore Harrison Ford, che ha partecipato alla Cop 25 di Madrid, nel dicembre del 2019.

2019 – Il terzo anno

L’inchiesta russa

Avviata nella primavera del 2017, la cosiddetta “inchiesta russa” ha marchiato il terzo anno di lavoro di Donald Trump. Si tratta di un’indagine condotta dal procuratore indipendente Robert Mueller. Oggetto: le possibile ingerenze del governo della Russia sulle elezioni che nel 2016 portarono alla vittoria di Trump.

Mueller nell’aprile del 2019 ha consegnato un rapporto di 448 pagine, nelle quali concludeva che un tentativo di incidere sul risultato elettorale da parte del Cremlino ci fu effettivamente. Ma non è riuscito a provare la complicità volontaria da parte di Trump. Tuttavia, due mesi più tardi, lo stesso procuratore ha accettato di parlare pubblicamente, affermando di aver riscontrato “sforzi molteplici e sistematici” profusi per “nuocere ad un candidato”, ovvero alla democratica Hillary Clinton. Mueller ha ammesso inoltre che, per quanto riguarda le responsabilità presunte di Donald Trump, erano state le direttive del governo e non l’assenza di prove ad impedirgli di trarre determinate conclusioni.

I bambini migranti separati dalle loro famiglie senza più genitori

Nello stesso periodo, il mondo veniva scosso da nuove rivelazioni sulla vicenda drammatica dei bambini catturati e separati dalle loro famiglie. Un’inchiesta della Associated Press ha rivelato dapprima le condizioni penose nelle quali sono stati costretti a vivere.

Quindi è emerso il fatto che i genitori di 545 bambini non sono ancora stati rintracciati. I piccoli rischino di non ritrovarli ancora a lungo. Forse per sempre.

Lo strappo con Cuba

Sempre nella primavera del 2019, Donald Trump ha annunciato la volontà di inasprire la pressione economica del proprio paese nei confronti di Cuba. Il miliardario americano, infatti, in aperto contrasto con lo storico riavvicinamento tra il governo dell’isola e Washington avvenuto nel corso del mandato di Barack Obama, ha optato per l’imposizione di nuove limitazioni ai viaggi e ai trasferimenti di denaro tra le due nazioni.

Facendo appello alla “difesa della democrazia e dei diritti umani” in America Latina, Trump ha deciso dunque di operare un cambiamento di approccio diametrale rispetto al suo predecessore. E, anche da un punto di vista simbolico, ha scelto di annunciarlo nello stesso giorno in cui, nel 1961, l’esercito americano tentò di invadere Cuba alla Baia dei Porci.

Nuove trivellazioni in Alaska

A settembre del 2019, il Bureau of land management (Blm) statunitense ha suscitato invece l’ira delle organizzazioni non governative ambientaliste di tutto il mondo. Stabilendo che su oltre 600mila ettari di pianure costiere dell’Alaska si potrà procedere con attività estrattive di petrolio e gas. Con una valutazione finale di impatto ambientale, il Blm ha ritenuto infatti compatibili con la difesa della natura le trivellazioni in aree protette dell’Alaska.

“L’annuncio di oggi è un grande passo avanti per portare a termine il chiaro mandato che abbiamo ricevuto dal Congresso per sviluppare e implementare un programma di leasing per la Pianura costiera, un programma che la popolazione dell’Alaska sta cercando da oltre 40 anni”, aveva commentato in una dichiarazione il segretario agli Interni David Bernhardt.

La conferma della richiesta di uscire dall’Accordo di Parigi

Il 4 novembre 2019 il presidente Donald Trump ha quindi confermato la volontà della sua amministrazione di uscire dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015. Nel primo giorno utile dal punto di vista legale, il miliardario ha fatto annunciare l’avvio della procedura ufficiale di ritiro dal segretario di stato Mike Pompeo. Quest’ultimo, in un comunicato, ha spiegato di aver notificato la decisione al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

Nella lettera, il responsabile della diplomazia statunitense ha insistito sul fatto che il testo dell’Accordo, a suo avviso, rappresenta “una zavorra economica ingiusta” per il proprio paese. E ha spiegato che l’amministrazione di Washington “continuerà a proporre un modello realista e pragmatico, sulla base di dati concreti, che mostra che l’innovazione e l’apertura dei mercati garantisce maggiore prosperità, una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e fonti energetiche più sicure”.

Il tentativo di impeachment

Un mese dopo, Donald Trump è rimasto invischiato in un’inchiesta che per poco non lo costringe ad abbandonare la Casa Bianca. Il 18 dicembre 2019, infatti, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha deciso di votare a favore della procedura di “impeachment” che ha posto il presidente americano Donald Trump formalmente sotto accusa per abuso di potere e per ostruzione al Congresso.

Ciò in ragione della presunta pressione che il capo di stato avrebbe esercitato nei confronti del governo dell’Ucraina, al fine di infangare Joe Biden, all’epoca solamente uno dei candidati alle primarie democratiche. Secondo l’accusa, Trump avrebbe minacciato di congelare gli aiuti militari concessi a Kiev in mancanza di un sostegno alla Casa Bianca nel tentare di squalificare l’esponente democratico.

Donald Trump con una copia del Washington Post con la notizia che il presidente è stato prosciolto dalle accuse © Drew Angerer/Getty Images

Poche settimane dopo, si è conclusa invece la vicenda dell’impeachment (il primo di un presidente americano dopo quello contro Bill Clinton nel 1998). Contraddicendo la Camera dei rappresentanti, che a maggioranza democratica si era schierata contro Trump, il Senato ha ritenuto (il 6 febbraio 2020, con 52 voti contro 48) che il presidente non abbia commesso alcun abuso di potere.

Il presidente, da parte sua, si è detto vittima di un complotto orchestrato dai democratici e ha sempre negato di aver esercitato pressioni nei confronti dell’Ucraina.

Focus – Black lives matter

Gli anni di Donald Trump sono stati segnati anche da una forte protesta da parte della popolazione afro-americana degli Stati Uniti, guidate dal movimento politico Black lives matter.

 

A scatenare le proteste è stata l’uccisione, durante un controllo della polizia, di George Floyd. Il fatto è avvenuto il 25 maggio 2020 a Minneapolis, nel Minnesota.

La comunità afro-americana ha puntato il dito contro la polizia, accusata di utilizzare metodi particolarmente violenti nei confronti dei cittadini di colore.

Un video diffuso dai media e dai social network ha mostrato la morte di Floyd in tutta la sua drammaticità. Così, migliaia di persone si sono riunite in piazza a Minneapolis per chiedere giustizia.

Ma la protesta ha presto superato i confini della città e dello stato federale del Minnesota, per diffondersi in tutti gli Stati Uniti.

Manifestazioni contro il razzismo e le violenze della polizia sono state organizzate nel corso dell’estate del 2020 in 2.500 città americane, ma anche in molte altre nazioni del mondo intero.

 

 

In alcuni casi, le proteste sono sfociate in violenti scontri con la polizia, nonché in incendi, atti di vandalismo e saccheggi.

Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine hanno portato alla morte di 32 persone.

Alla fine del mese di giugno, in un’intervista rilasciata all’emittente conservatrice Fox News, il presidente Donald Trump ha accusato uno dei leader del movimento Black lives matter di lavorare per scatenare un’insurrezione sul territorio degli Stati Uniti.

2020 – Il quarto anno

L’uccisione di Ghassem Soleimani

Nei primi giorni del 2020, l’attenzione del mondo intero si è rivolta verso l’Iran. Nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 gennaio un bombardamento aereo americano ha colpito, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq, un convoglio della coalizione militare sciita (Forze di mobilitazione popolare, Hashd al-Shaabi). Del quale faceva parte, tra gli altri, il potente e popolare generale iraniano Ghassem Soleimani, che è morto sul colpo durante l’attacco.

Un’operazione militare ordinata direttamente dalla Casa Bianca e rivendicata con orgoglio dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che così ha trasformato di colpo il Golfo in una polverieraSoleimani era infatti uno degli uomini più potenti del Medio Oriente, plenipotenziario di tutte le operazioni militari estere dell’Iran, inquadrato nella Forza Al-Qods dei “Guardiani della rivoluzione”.

Il coronavirus e la crisi sanitaria

Nella stessa giornata dell’assoluzione di Trump da parte del Parlamento americano, negli Stati Uniti veniva dichiarato il decesso del primo paziente affetto da Covid-19. In quei giorni, il presidente e il suo entourage insistevano nel minimizzare la pericolosità del coronavirus e accusavano i democratici di sfruttare l’emergenza per destabilizzare il governo.

https://www.youtube.com/watch?v=DHkzqejFKbM

“Dopo l’impeachment, è la loro nuova strategia”, affermava senza mezzi termini Trump. Due mesi dopo, ad aprile, in piena pandemia, dichiarerà – senza alcuna prova scientifica in mano – che si può guarire dalla Covid-19 grazie ai raggi ultravioletti o a un disinfettante iniettato nei polmoni. Nel frattempo, Trump ha puntato a più riprese il dito contro il virus “cinese”, sottolineando così le presunte responsabilità di Pechino nella diffusione dell’epidemia.

E ha anche accusato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di aver tardato a reagire. Così, a metà aprile, ha deciso di tagliare i finanziamenti concessi all’organismo delle Nazioni Unite. “Il mondo è stato bombardato da informazioni false sulla trasmissione e sulla mortalità”, ha dichiarato il capo di stato americano. “È per questo – ha aggiunto – che ordino la sospensione dei finanziamenti concessi all’Oms”.

Il 1 ottobre Donald Trump ha dichiarato di aver essere risultato positivo al coronavirus e il 2 ottobre è stato trasferito all’ospedale militare Walter Reed © Drew Angerer/Getty Images

Il 1 ottobre lo stesso presidente americano ha annunciato di essere malato di Covid-19: passerà tre giorni in ospedale. All’inizio di novembre, i morti per il coronavirus negli Stati Uniti sono oltre 234mila.

Il carbone nei parchi dello Utah

A febbraio del 2020, il governo degli Stati Uniti ha reso operativi anche i piani di gestione di due riserve nazionali nello Utah che il presidente Trump aveva già ridimensionato nel 2017. Tali modifiche consentono alla compagnie energetiche di avviare attività estrattive petrolifere e minerarie in un’area di quasi 350mila ettari.

Una centrale a carbone nello Utah
Una centrale a carbone nello Utah © George Frey/Getty Images

Il motivo? Secondo un’analisi economica dello stesso governo, è stato stimato che la produzione di carbone potrebbe portare a 208 milioni di dollari di entrate annuali e 16,6 milioni di royalties sui terreni non più all’interno dei confini dei parchi. Sempre secondo l’analisi, i pozzi di petrolio e gas in quell’area potrebbero produrre ingenti entrate annuali.

La sospensione delle leggi ambientali per la pandemia

Durante la pandemia, inoltre, l’amministrazione Trump ha sospeso l’applicazione di alcune leggi ambientali. Una decisione controversa, annunciata alla fine di marzo in un comunicato dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense (Epa). Secondo la quale l’alleggerimento delle normative sarebbe stato necessario per le industrie, che altrimenti si sarebbero trovate in difficoltà nel rispettare alcune prescrizioni.

donald trump
Il presidente americano a Louisville, nel maggio del 2020 © Scott Olson/Getty Images)

L’autorizzazione a cacciare cuccioli in Alaska

A giugno, infine, il governo americano ha eliminato un divieto imposto da Barack Obama, secondo il quale non era possibile cacciare nelle riserve nazionali dell’Alaska utilizzando esche e trappole. Da luglio, così, è possibile impiegare tali strumenti per stanare gli orsi in letargo, sterminare intere cucciolate di lupo direttamente nelle loro tane, sparare ai caribù mentre nuotano o fare fuoco da praticamente qualsiasi mezzo: auto, aeroplani, barche e motoslitte.

Donald Trump © Anna Moneymaker-Pool/Getty Images

L’assalto al Congresso da parte dei sostenitori di Trump

Alcuni sostenitori del presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, si sono riuniti nella giornata di mercoledì 6 gennaio, su invito dello stesso Trump, di fronte al Congresso americano e lo hanno occupato con la forza. Lo hanno fatto proprio mentre i parlamentari stavano portando avanti la procedura di certificazione dei risultati delle elezioni presidenziali vinte dal candidato democratico Joe Biden. Una donna è stata dapprima ferita da un colpo di arma da fuoco, poi è morta. Ciò ha portato il Congresso stesso ad avviare una seconda procedura di impeachment contro Donald Trump. Il cui esito arriverà dopo che Biden stesso sarà entrato in carica.

Quattro anni, dunque, estremamente intensi. Dei quali quella che proponiamo è soltanto un’estrema sintesi. E che sono stati seguiti da una lunga campagna elettorale. Fatta anche di colpi bassi e fake news. Conclusa con un lunghissimo spoglio delle schede inviate per corrispondenza dai cittadini americani. E con ricorsi depositati o minacciati da parte di Donald Trump. Che però, in ogni caso, a gennaio del 2021 dovrà chiudere dietro di sé per l’ultima volta la porta della Casa Bianca.