L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
Instabilità politica e fragilità economia spingono la Tunisia in piazza. Manifestazioni e scontri in numerose città: centinaia di arresti e un morto.
La Tunisia è attraversata da una dura ondata di proteste popolari. Mercoledì 10 gennaio si giunti al terzo giorno di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, in numerose città della nazione nordafricana. Il bilancio provvisorio parla di 49 poliziotti feriti, 237 persone arrestate e di un morto. La vittima è un uomo che era sceso in piazza nella città di Tebourba, a circa 30 chilometri da Tunisi.
A sette anni dalla Primavera araba, che aveva portato alla destituzione del regime di Zine al-Abidine Ben Ali, le strade tunisine sono tornate ad essere un teatro di scontri. A spingere in piazza la popolazione sono soprattutto le rivendicazioni economiche e sociali, alimentare dalla contestazione nei confronti delle misure di austerità approvate alla fine del 2017.
Le manifestazioni – che in alcuni casi sono state punteggiate da furti nei negozi – affondano le radici in un contesto sociale degradato e favorito dalla risalita dell’inflazione (al 6,4 per cento su base annuale) e dal tasso di disoccupazione superiore al 15 per cento (che raggiunge il 30 per cento per la categoria dei giovani diplomati). Il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo ha inoltre raggiunto il 6,1 per cento, mentre quello tra debito e Pil sfiora il 70 per cento: di qui la decisione del governo di tirare la cinghia, imponendo – tra le altre cose – un aumento dell’Iva. Che rischia di provocare una nuova impennata dei prezzi e un ulteriore calo del potere d’acquisto per le famiglie.
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Nel corso di una visita nei pressi di Tebourba, il primo ministro ha condannato quelli che ha definito “atti di vandalismo che fanno gli interessi delle reti corrotte al fine di indebolire lo stato”. E ha puntato il dito conto il Fronte popolare, partito di sinistra che si è opposto alla scelta dell’austerità come soluzione alla crisi economica. Lunedì, la stessa formazione progressista ha reso nota la volontà di continuare a manifestare finché il governo non ritirerà la manovra finanziaria, giudicata “ingiusta”: “Restiamo in strada e intensificheremo le proteste”, ha spiegato un portavoce del partito.
Non è la prima volta che in Tunisia vengono registrate proteste veementi, soprattutto nelle regioni interne, storicamente meno agiate rispetto a quelle del litorale. Ma in questo caso la rapidità della diffusione preoccupa le autorità locali: scontri sono stati registrati al contempo in alcuni quartieri di Tunisi, in alcune periferie e città limitrofe, nei governatorati di Kasserine, Sidi Bouzid e Gafsa e anche in alcune località marittime (Gabes e Nabeul).
La pressione sul governo di unità nazionale di Youssef Chahed, nato nel mese di agosto del 2016: il nono dalla caduta di Ben Ali, a testimoniare la grande instabilità politica della nazione nordafricana. Il primo ministro si regge su un delicato equilibrio politico e sull’appoggio non troppo convinto del suo stesso partito “modernista” Nidaa Tounes, alleato con gli islamici-conservatori di Ennahda.
Dozens have been arrested in Tunisia amid violent protests as anger mounts over rising costs and government austerity https://t.co/OQuaeZ2PX1 pic.twitter.com/GECo2gKonz
— AFP news agency (@AFP) January 9, 2018
Neppure il tentativo di Chahed di trovare un’intesa con l’Unione generale del Lavoro tunisina, principale sindacato del paese, sembra sufficiente a sedare il movimento di protesta. La coalizione di governo si prepara infatti alle elezioni municipali previste per il prossimo mese di maggio: il primo voto locale dal 2011.
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