Popoli indigeni

L’ultimo giorno della Cop 25 parte col botto

Ultimo giorno di lavori, almeno sulla carta, alla Cop 25 di Madrid che si apre con l’indignazione delle ong, Greenpeace in testa, per le posizioni di alcuni stati tutt’altro che ambiziosi.

“Mentre parliamo abbiamo ancora stati come l’Australia, il Brasile e l’Arabia Saudita che vengono qui e distruggono l’Accordo di Parigi riempiendolo di cavilli che gli impediscono di funzionare come dovrebbe. Quindi oggi i rappresentanti della High ambition coalition (Hac), con l’Unione europea che ha aperto una nuova strada europea più ambiziosa, dovrebbero venire qui con rinnovata energia e lavorare con gli stati più vulnerabili al mondo per dar vita a qualcosa che permetta loro di tornare a casa e guardare i loro bambini negli occhi!”, con queste parole Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International, ha commentato davanti a un gruppo giornalisti le prime bozze di testo sulla messa a terra dell’Accordo di Parigi pubblicate nella prima mattina di venerdì 13 dicembre.

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Greenpeace alla Cop 25 di Madrid
“Le nostre politiche sono inquinate”. La protesta di Greenpeace il 13 dicembre, l’ultimo giorno di negoziati sul clima a Madrid © Camilla Soldati/LifeGate

Un commento arrivato mentre fuori dalla fiera di Madrid dove è in corso la Cop 25, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, attivisti della ong appendevano due striscioni gialli con la scritta “El clima non es un negocio”, il clima non è un business, e “Our politics are polluted”, le nostre politiche sono inquinate. La prima di una serie di proteste organizzate nel pomeriggio anche dai Fridays for future, dentro e fuori il palazzo dei congressi. Il movimento guidato da Greta Thunberg, oggi a Torino per lo sciopero per il clima del venerdì, ha fatto sapere in una conferenza stampa che la Cop 25 ha fallito, “ci ha deluso nuovamente”.

Morgan non usa mezzi termini: “Questo testo è assolutamente inaccettabile”

La High ambition coalition a cui fa riferimento Morgan è un gruppo di pressione all’interno dei negoziati sul clima nato a Parigi e che vede l’adesione di quegli stati che vogliono aumentare le promesse, quindi essere ambiziosi, per far sì che l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media ben al di sotto dei 2 gradi venga rispettato. Ne fanno parte, tra gli altri, Unione europea, Argentina, Canada, Costa Rica, Etiopia, Isole Figi, Giamaica, Nuova Zelanda, Messico e le Isole Marshall.

Attivisti di Greenpeace alla Cop 25
Gli attivisti di Greenpeace durante una protesta davanti alla Fiera di Madrid il 13 dicembre, l’ultimo giorno di negoziati sul clima © Camilla Soldati/LifeGate

“Penso sia chiaro che abbiamo bisogno di un equilibrio tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo – continua Morgan –. I primi possono continuare a condurre i giochi e per politiche volte a diminuire le emissioni di CO2 ed eliminare i combustibili fossili. Ma dobbiamo anche capire che gli obiettivi aumenteranno da tutte le parti. Quindi penso che il testo finale dovrebbe rappresentare quella tensione che c’è tra questi due gruppi. I paesi sviluppati non sono esenti dai giochi”.

Le proteste di Greenpeace alla Cop 25
“Il clima non è un business”. Le proteste di Greenpeace la mattina dell’ultimo giorno di negoziati alla Cop 25 © Camilla Soldati/LifeGate

E a proposito di grandi paesi in via di sviluppo Morgan risponde così a chi gli chiede un parere sul Brasile: “Onestamente trovo difficile prendere sul serio la posizione del Brasile visto che mentre siamo qui sta portando avanti la deforestazione all’interno dei propri confini”. Attività che pongono non pochi problemi dal punto di vista della violazione dei diritti umani: “È chiaro che la delegazione brasiliana sta dalla parte delle industrie e degli inquinatori, non dalla parte dei brasiliani o degli indigeni”.

I grandi paesi in via di sviluppo, dunque, devono fare di più per costruire quella fiducia che i paesi sviluppati si aspettano da loro. E riuscire, insieme, a vincere la sfida più importante dell’umanità: salvarsi.

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