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Stop al cambio di genere nei documenti: è la strada intrapresa dall’Ungheria. E non è l’unico caso recente in cui i diritti transgender sono messi in bilico
In queste settimane in cui l’attenzione mediatica è monopolizzata dall’emergenza coronavirus, il tema dei diritti civili rischia di passare in secondo piano. E, nel silenzio generale, le persone transgender iniziano a veder messe in discussione alcune libertà che ormai erano considerate basilari e incrollabili.
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— TGEUorg (@TGEUorg) March 31, 2020
Lunedì 30 marzo il primo ministro ungherese Viktor Orban ha chiesto e ottenuto “pieni poteri” dal parlamento, instaurando uno stato d’emergenza di durata indeterminata. Le prime a pagarne le conseguenze sono state proprio le persone transgender. Il giorno successivo, infatti, il partito da lui fondato (Fidesz) ha proposto un disegno di legge per cui il genere di una persona va definito soltanto in senso puramente biologico, sulla base delle caratteristiche fisiche e genetiche attestate alla nascita. Traduzione, il cambio di genere non può più essere registrato nei documenti di identità.
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Si va così a intaccare un diritto che – fa notare Transgender Europe – è riconosciuto da tutti i Paesi europei, con la sola eccezione di Cipro. Si sono subito espresse le istituzioni comunitarie, per voce di Marc Angel, copresidente dell’Intergruppo Lgbti del Parlamento europeo. “Questo attacco alla comunità trans è offensivo e intenzionale”, ha dichiarato tramite una nota. “Questa manovra non vuole solo imporre il silenzio alla comunità trans, ma punta a cancellare e negare la sua stessa esistenza”.
Il governatore dello stato americano dell’Idaho, il repubblicano Brad Little, lunedì 30 marzo ha firmato due leggi esplicitamente indirizzate alle persone transgender. La prima (House Bill 500, ribattezzata come Fairness in Women’s Sports Act) impedisce alle persone che sono nate biologicamente come maschi di gareggiare per le squadre sportive femminili.
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La seconda (House Bill 509) stabilisce che il certificato di nascita può contenere soltanto le informazioni certificate dal medico al momento della nascita stessa: nessuno potrà quindi richiederne uno nuovo, che rispecchi la sua identità di genere. Come ricorda la Cnn, nel 2018 un giudice federale aveva già bocciato un provvedimento simile, proposto sempre dall’Idaho. Durissimo il commento della sezione locale dell’Aclu, l’Unione americana per le libertà civili, che ha definito queste leggi come “discriminatorie, incostituzionali e profondamente offensive” e ha promesso di fare ricorso.
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