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130 studenti e studentesse sono ospitati nelle città italiane con borse di studio, ottenute grazie ai corridoi universitari per rifugiati.
Il talento può trovarsi ovunque, le opportunità no. Di certo non ne vedeva molte Divine nel campo rifugiati dov’è cresciuta in Zambia, dov’è arrivata quando a 5 anni è scappata con la sua famiglia dalla Repubblica Democratica del Congo. Non c’era un’università per rifugiati, eppure il papà avvocato e la mamma insegnante insistevano che queste opportunità andavano cercate, ripetendole che “l’istruzione è l’unica via per uscire”.
Lo racconta Divine stessa, al telefono da Verona, dove oggi, a 29 anni, studia all’università biotecnologie mediche e molecolari: “A 10-11 anni mi mandarono a vivere da alcuni amici di famiglia che erano riusciti a uscire dal campo, affinché potessi frequentare scuole migliori”. Laurea in farmacia in Zambia tra mille sacrifici e di nuovo buio. Questione economica a parte, un rifugiato non può muoversi liberamente. Anche se trova una borsa di studio è estremamente complicato ottenere visti e documenti per uscire dal cosiddetto Paese di primo asilo.
“Poi mi hanno segnalato il progetto Unicore per l’Italia”, continua Divine mentre il piccolo Ryan, suo figlio di otto mesi si lamenta in sottofondo della mancanza di attenzioni. Ryan è nato a Verona e non ha ancora conosciuto suo papà, perché il progetto non permette agli studenti o studentesse di spostarsi insieme alla famiglia, quindi il marito di Divine è dovuto restare in Zambia. Ma lei, abituata a uno standard di sacrifico oltre la media, non lo trova un fatto così sconvolgente: “Mio marito ha capito bene che opportunità unica fosse poter continuare gli studi ed è stato di grande sostegno. Quando ho saputo di essere incinta non potevo mollare tutto”.
“Sono 130 i ragazzi e le ragazze in Italia che al momento studiano grazie ai corridoi universitari”, spiega Andrea Pecoraro, responsabile progetto Unicore Unhcr Italia – Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, “è stata un’iniziativa nata proprio dall’esperienza di un ateneo. L’università di Bologna stava cercando di far arrivare in Italia due studenti etiopi e ci ha chiesto aiuto per le complicazioni burocratiche. Dopo molta fatica questi due rifugiati sono riusciti ad arrivare a Bologna, ma ci siamo chiesti: perché non creare un meccanismo stabile che renda facile chiedere un visto per studio per chi ha delle offerte da parte delle università italiane? L’anno dopo, nel 2019, Bologna accolse ai suoi corsi 5 rifugiati e la Luiss di Roma uno”.
Da quei primi sei studenti sono state erogate 200 borse di studio e coinvolte 41 università: “La risposa delle accademie al progetto è stata molto buona”, continua Pecoraro, “l’anno prossimo sono attesi almeno altri 60 studenti”. I corsi più seguiti sono tendenzialmente scientifici e, ovviamente, sono erogati in lingua inglese: business management, diversi tipi di ingegneria, informatica, diritti umani, chimica, biotecnologia, economia, scienze internazionali.
Al suo arrivo a Verona Divine ha trovato ad accoglierla non solo tutor e docenti per seguirla nel percorso della laurea specialistica, ma anche una sorta di famiglia affidataria. “La particolarità di questo progetto è che le università, tramite partner locali, offrono al rifugiato una serie di servizi aggiuntivi, come assistenza legale, psicologica, orientamento sul territorio. Tra questi c’è anche un abbinamento con una famiglia italiana, che aiuta il rifugiato a inserirsi nel tessuto sociale”. Quanto di meglio poteva servire alla neomamma Divine, che si è dovuta destreggiare tra un neonato e la fatica dei corsi: “La mia famiglia italiana è una coppia con figli ormai grandi e sono tutti un supporto fondamentale, mi invitano a cena, mi aiutano con Ryan. Mi hanno subito fatto sentire accolta”.
Il progetto italiano Unicore è stato riprodotto in Francia, Irlanda e Belgio, mentre iniziative simili esistono in Gran Bretagna e Germania, continua Pecoraro, “in Italia si stanno ormai laureando i primi rifugiati arrivati e ora devono affrontare l’incertezza di quel che li aspetta. Dopo la laurea possono restare con un permesso di studio se vincono una borsa per un dottorato, ad esempio, oppure tramutarlo in un visto di lavoro, oppure ancora chiedendo asilo. È una parte burocratica complicata e senza garanzie di riuscita, per questo tutti sentono abbastanza il peso dell’insicurezza”.
Divine stessa non sa bene cosa succederà, sa solo che vorrebbe tentare il percorso della ricerca farmaceutica e accetta questo livello di incertezza così come ha affrontato tutti gli eventi della sua vita: “Ci tengo a raccontare la mia storia non solo per mostrare che è possibile continuare a studiare per le persone rifugiate come me, ma che è possibile farlo anche per giovani donne con bambini. Avere un figlio è un evento che cambia la vita, ma non dev’essere un ostacolo a realizzare i propri sogni”.
I corridoi universitari rappresentano un percorso sicuro e controllato per arrivare in Italia. Divine è uno dei 300mila rifugiati che attualmente vivono nel nostro Paese, un numero che include beneficiari di diversi tipi di protezione esistenti. A loro volta, questi sono una piccolissima parte delle oltre 100 milioni di sfollati che a livello globale sono state costretti a fuggire da guerre, violenze, persecuzioni, discriminazioni. La cifra record, mai toccata nella storia, è stata annunciata un anno fa dall’Alto commissario per i rifugiati Filippo Grandi, ed è stata raggiunta a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina. Il piccolo Ryan si è andato ad aggiungere alla cifra pochi mesi più tardi.
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