
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
Dopo la sparatoria a Parkland, in Florida, l’università di Yale promette di non investire più nemmeno un dollaro in chi commercia o promuove le armi.
Dopo le tragiche conseguenze delle stragi armate nelle scuole, non possono certo essere le università a foraggiare – più o meno direttamente – il business delle armi. È questo il motivo che ha portato l’università di Yale a prendere una storica decisione, annunciata ad agosto: d’ora in poi, nemmeno un dollaro dei suoi fondi verrà investito nei rivenditori di armi da fuoco.
L’università di Yale non ha bisogno di presentazioni. Fondata nel 1701 a New Haven, nel Connecticut, è al dodicesimo posto nella Classifica accademica delle università mondiali (Arwu). È l’ateneo in cui si sono laureati, tra gli altri, diversi presidenti degli Stati Uniti (Bush padre e figlio, Bill Clinton, Gerard Ford, William Howard Taft), decine di premi Nobel e Pulitzer, scienziati (da Samuel F. B. Morse, inventore dell’omonimo codice, a Francis Collins, che ha decifrato il genoma umano) e volti noti dello spettacolo, come Edward Norton e Jodie Foster.
Yale è anche la seconda università più ricca negli Usa e possiede un fondo di investimento che, secondo Bloomberg, ha un volume di circa 27,2 miliardi di dollari. Il suo consiglio di amministrazione, accogliendo una richiesta nata dall’interno, a fine agosto ha ufficializzato una decisione netta: questi soldi non verranno più investiti nei venditori di armi, né tantomeno in tutte quelle attività che ne promuovono l’uso o organizzano fiere e manifestazioni a tema.
Yale’s endowment won’t invest in retail outlets that market and sell assault weapons to the public https://t.co/kWtUc6nZgR
— Bloomberg (@business) 22 agosto 2018
Molte altre università, negli ultimi anni, hanno deciso di orientare i propri investimenti verso la sostenibilità. Sempre più comune, per esempio, è la scelta di abbandonare i produttori di combustibili fossili. Anche i gestori del fondo della stessa Yale, nel 2016, hanno dichiarato di aver ceduto investimenti pari a circa 10 milioni di dollari perché “non coerenti con i loro principi”.
Leggi anche: March for our lives a Londra, gli studenti: saremo l’ultima generazione a combattere le sparatorie nelle scuole
In questo caso, il tema all’ordine del giorno è un altro. “Il bilancio, in termini di vite umane, dovuto alle sparatorie nel nostro paese è profondamente tragico”, dichiara l’università di Yale tramite una nota. Chi vende armi da fuoco al pubblico – mette nero su bianco il comitato consultivo – è quindi responsabile di “gravi danni sociali”. È da sottolineare il fatto che il divieto non riguarda i produttori di armi, scelta giustificata con il fatto che queste ultime possono essere usate anche da forze dell’ordine e militari.
Leggi anche: Proviamo a capire il rapporto tra Stati Uniti e armi da fuoco, per quanto possibile
“Yale si dedica alla ricerca, agli studi accademici e all’educazione per migliorare il mondo. Ciò richiede un ambiente in cui insegnati e studenti sono al sicuro dalla violenza da armi da fuoco e non hanno motivo di temerla”, continua il comunicato.
Evidente il riferimento alla strage avvenuta lo scorso 14 febbraio alla scuola superiore Marjory Stoneman Douglas di Parkland, in Florida. All’epoca era stato il diciannovenne Nikolas Cruz, espulso dall’istituto per motivi disciplinari, ad aprire il fuoco uccidendo 17 ragazzi. Un bilancio pesantissimo, che ha riaperto il dibattito sul tema del possesso di armi negli Usa. Purtroppo, questa tragedia non è isolata: secondo le stime dell’associazione Everytown for Gun Safety, nei primi cinque mesi e mezzo di quest’anno si sono verificate addirittura 42 sparatorie nei campus statunitensi.
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
Oltre 2.500 miliardi di euro: sono i soldi che le grandi banche hanno iniettato nel settore delle fonti fossili dalla firma dell’Accordo di Parigi al 2019.
Il World economic forum 2020 punta sulla sostenibilità, ma per Greenpeace sconta una contraddizione: le banche presenti finanziano ancora carbone e petrolio
Lo sponsor di Roger Federer è una banca che finanzia i combustibili fossili. Finito nel mirino degli ambientalisti, il campione promette di intervenire.
La banca centrale inglese introdurrà gli stress test climatici, per capire se banche e assicurazioni siano in grado di reggere agli shock ambientali.
Rispettare l’Accordo di Parigi e favorire gli investimenti per il clima. Secondo centinaia di investitori, queste devono diventare le priorità dei governi.
Dalla fine del 2021, la Banca europea per gli investimenti non finanzierà più carbone, petrolio e gas naturale. Una svolta storica, molto attesa da istituzioni e società civile.
Solo il 9 per cento delle aziende più inquinanti ha fissato obiettivi coerenti con l’Accordo di Parigi. I loro azionisti avvertono: “Non è abbastanza”.
Il più grande sistema di università pubbliche d’America ha deciso di sbarazzarsi dagli investimenti in carbone e petrolio: sono un rischio, anche economico.