
Dopo un sostanziale calo nel 2020, le emissioni di CO2 del settore energetico hanno ripreso ad aumentare, rischiando di vanificare l’effetto lockdown.
Gli Stati Uniti dovranno rispettare le restrizioni e non potranno espandere le esplorazioni petrolifere nell’Artico e nell’Atlantico.
L’Artico è un’area particolarmente ambita dalle compagnie petrolifere, si stima infatti che ospiti almeno il 13 per cento delle riserve di greggio ancora inesplorate. L’estrazione di idrocarburi in un ecosistema fortemente minacciato dai cambiamenti climatici come quello artico, avrebbe effetti particolarmente negativi. Le attività di estrazione incrementerebbero infatti le emissioni di gas serra e metterebbero in pericolo specie minacciate come l’orso polare (Ursus maritimus), il narvalo (Monodon monoceros) e il tricheco (Odobenus rosmarus).
Le probabili fuoriuscite di petrolio contaminerebbero inoltre le acque, danneggiando la fauna selvatica e le popolazioni locali che dipendono da essa. Proprio per preservare il delicato ecosistema artico, nel 2015 l’ex presidente statunitense Barack Obama aveva bloccato le trivellazioni. Nel 2017 però l’attuale presidente Donald Trump aveva aperto alle esplorazioni petrolifere in Alaska, sconfessando la decisione del suo predecessore. Lo scorso 31 marzo, tuttavia, Sharon Gleason, giudice del tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il distretto dell’Alaska, ha nuovamente ribaltato la decisione, respingendo l’ordine esecutivo del presidente Trump e reintroducendo le restrizioni dell’era Obama.
Il giudice federale ha pertanto bloccato il piano di espandere le trivellazioni offshore e ripristinato il divieto di trivellare in vaste parti dell’oceano glaciale Artico e dell’oceano Atlantico. L’attuale presidente degli Stati Uniti avrebbe superato la propria autorità quando ha annullato i divieti di perforazione. La legge federale, ha spiegato il giudice Sharon Gleason, non consente infatti ai presidenti di rimuovere il divieto precedentemente fissato, solo un atto del Congresso potrebbe revocarlo.
“Oltre a garantire energia a prezzi accessibili per i decenni a venire, lo sviluppo delle nostre abbondanti risorse offshore può fornire miliardi di entrate governative, creare migliaia di posti di lavoro e rafforzare anche la nostra sicurezza nazionale”, si legge in una nota diffusa dall’American Petroleum Institute, che si è dichiarata contraria alla sentenza. Il governo statunitense, invece, non ha ancora commentato il provvedimento.
Opposto è naturalmente l’umore dei vari gruppi ambientalisti che avevano citato in giudizio l’amministrazione Trump. “La sentenza dimostra che il presidente non può semplicemente calpestare la Costituzione per eseguire gli ordini dei suoi compari nell’industria dei combustibili fossili a scapito dei nostri oceani, della natura e del clima”, ha dichiarato Erik Grafe, avvocato di Earthjustice, organizzazione senza scopo di lucro che ha rappresentato le associazioni ambientaliste nella battaglia legale.
Dopo aver istituito la protezione dell’Artico nel 2015, con l’obiettivo di proteggere la fauna e i nativi, nel 2016 Obama aveva vietato l’esplorazione petrolifera in 15.377 chilometri quadrati situati nella costa sudorientale dell’oceano Atlantico, per preservare habitat ricchi di vita e tutelare le spiagge e le economie costiere.
Dopo un sostanziale calo nel 2020, le emissioni di CO2 del settore energetico hanno ripreso ad aumentare, rischiando di vanificare l’effetto lockdown.
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