I ragazzi e le ragazze rilasciati facevano parte di un gruppo di 121 adolescenti rapiti a inizio luglio. È l’ennesimo rapimento di studenti in Nigeria.
Viaggio a Maiduguri, la città della paura
Maiduguri è la città dove Boko Haram ha dato inizio alla jihad e oggi oltre un milione di persone vivono sotto assedio dei terroristi islamici.
La sabbia rossa sferzata dal vento caldo che soffia dal Sahara, l’Harmattan, si solleva piano come una cortina e lascia scorgere la città nigeriana di Maiduguri. Ovunque si vedono cittadini vivere in accampamenti improvvisati, in tende costruite con i teli delle organizzazioni umanitarie e anche dove doveva sorgere la segreteria della diocesi della città è nato invece un campo per sfollati che ospita circa 500 persone.
Sono loro, i rifugiati, i fuggiaschi, i profughi a dare la dimensione più autentica e dolorosa del dramma che si sta consumando in questa parte del continente africano dove dal 2009 è in corso una crisi economica, umanitaria e militare che ad oggi ha provocato la morte di 350mila persone e un esodo di 4milioni di cittadini.
“Gli uomini di Boko Haram sono arrivati nel nostro villaggio, hanno ammazzato mio padre e mia madre. La gente scappava da tutte le parti e io, per giorni, ho vagato con le mie sorelle sulle montagne mangiando quello che trovavo e bevendo acqua solo quando trovavamo una pozza o un ruscello. Siamo scappate in Camerun, poi i terroristi sono venuti anche lì e adesso siamo venute qua, in città, e non sappiamo come sarà il nostro domani”.
Così Mary, che vive come sfollata nella tendopoli gestita dalla diocesi nigeriana, racconta la sua storia e biografie analoghe si trovano in tutta la città.
Adesso siamo venute qua, in città, e non sappiamo come sarà il nostro domani
Negli anni, quello che all’inizio era un piccolo accampamento militare presidiato da un ridotto contingente di soldati Sua Maestà, si ampliò sempre più divenendo la città più importante dell’intera regione, punto di incontro tra l’Africa settentrionale e quella subsahriana, tra l’est e l’ovest, tra il deserto e il bacino lacustre del Lago Ciad. In breve tempo quello sparuto avamposto si trasformò nella capitale dello stato del Borno e prese il nome di Maiduguri, la città dei mille re. Chi avrebbe mai potuto immaginare però che a distanza di cent’anni, in quel luogo che fu per oltre un secolo un crocevia di culture e carovane, sarebbe rimasto un unico e assoluto tiranno: la paura?
Maiduguri è infatti la culla di Boko Haram, la setta jihadista africana legata all’Isis qui è nata, ha iniziato le sue predicazioni e ha dato inizio alla sua guerra del terrore e oggi, in questa città la minaccia è invisibile ma concreta, l’odio è un imperativo di condotta e la morte è perennemente in agguato.
L’intera città è circondata dagli uomini di Boko Haram e nessun posto è sicuro perché loro sono degli assassini che uccidono tutti: forze dell’ordine, soldati, civili, cristiani, musulmani, innocenti.
La Railway Terminus, un tempo la principale stazione del Paese più popoloso d’Africa, è ora uno dei luoghi in cui si possono comprendere, in modo tangibile, le conseguenze provocate dalla guerra jihadista. L’ex scalo ferroviario è divenuto infatti un rifugio per centinaia di profughi in fuga dalle violenze della formazione islamista.
In ogni antro della stazione sono accampate delle famiglie, un uomo trasporta un sacco carico di farina, alcuni bambini giocano e corrono sui binari abbandonati e dove un tempo c’era la biglietteria adesso c’è il giaciglio di Mohamed, che ha trent’anni e prega stringendo in una mano il rosario e salmodiando a bassa voce le sue suppliche verso Dio.
“Io sono qui da solo, ho perso tutto: il mio lavoro, la mia vita, la mia famiglia. Sono originario di un villaggio vicino a Maiduguri e quando i terroristi sono arrivati io sono fuggito e ho trovato riparo qua, in questo luogo dove mi trovo ora. L’intera città è circondata dagli uomini di Boko Haram e nessun posto è sicuro perché loro sono degli assassini che uccidono tutti: forze dell’ordine, soldati, civili, cristiani, musulmani, innocenti. Io non so quale sarà il mio futuro, non posso fare altro che stare qua e pregare Allah”.
Boko Haram dalle origini ad oggi
Le parole di Mohamed sono eloquenti per comprendere lo stato di disperazione e violenza che ha travolto il nordest della nazione africana. Per capire però come si è arrivati oggi a questa situazione occorre riavvolgere il filo della storia sino al 2002, quando nella città di Maiduguri, dalle predicazioni dell’imam Mohamed Yusuf nacque il gruppo radicale Boko Haram la cui traduzione letteralmente significa “l’educazione occidentale è proibita”, boko è una storpiatura della parola book (libro in inglese), haram invece indica tutto ciò che è vietato dal Corano.
Il gruppo terrorista ha attirato sin dalle origini centinaia di adepti ma il passaggio dalla violenza delle predicazioni a quella della lotta armata è avvenuta nel luglio del 2009, quando, in seguito all’uccisione di Yusuf da parte delle forze di polizia nigeriane, la guida del gruppo è stata assunta da Abubakar Shekau e ha avuto così inizio la jihad della setta islamista nigeriana che in dodici anni ha causato la morte di 350mila persone e 4 milioni di sfollati.
Ferocia e violenza sono le uniche leggi
La formazione islamista è passata alla ribalta delle cronache per la sua ferocia nel compiere gli attacchi e nell’uccidere indiscriminatamente tutti coloro che non aderivano al gruppo armato. Tra le azioni più efferate condotte dai terroristi africani si rammentano l’assedio alla città di Baga, i rapimenti degli studenti e delle studentesse nelle scuole, come accaduto nel 2014 a Chibok, oltre a decine di attacchi suicida, incursioni, decapitazioni e occorre ricordare che gli jihadisti nigeriani sono stati i primi, nella galassia dell’internazionalismo islamista, a servirsi dei bambini come attentatori kamikaze.
La brutalità e la cecità del fanatismo di Shekau hanno portato però a una frattura in seno al gruppo nel 2016 quando un’ala della formazione ha deciso di separarsi, non riconoscere più la leadership di Shekau, unirsi a Daesh e divenire la branca africana del Califfato di Al Baghdadi prendendo il nome di Iswap (Islamic state western african province).
Dalle faide interne alla crisi umanitaria
Oggi esistono quindi due gruppi armati nati in seno a Boko Haram. Il nucleo storico, quello che fa riferimento alla figura di Shekau, (che è stato dato per morto il 20 maggio ma dubbi sulla sua reale sorte permangono essendo stato annunciato il suo assassinio già altre tre volte in passato), ha il nome di Jas (Jama’tu Ahlis Sunna Lidda awati wal-Jihad) , vanta tra i 1.500 e i duemila uomini ed è attivo nella foresta di Sambisa e in alcune zone dello Stato del Borno. L’altro gruppo è l’Iswap, guidato da Abu Abdallah Al Barnawi (anche lui più volte dato per morto), legato all’Isis, forte di quasi cinquemila uomini e che sta creando un vero e proprio stato islamico nella regione. Il gruppo, sfruttando l’assenza del governo di Abuja che ha abbandonato le popolazioni del nord est alla fame, alla miseria e all’epidemie, e approfittando anche della crisi ambientale e della carestia che da anni attanagliano la regione saheliana e il bacino del lago Ciad, ha preso controllo di un’ampia porzione di territorio, ha realizzato infrastrutture prima inesistenti, ha dato vita a un sistema di tassazione, ha costruito scuole e ospedali e ha importato una parvenza di statualità laddove questa era completamente assente.
Nel nord est della Nigeria la gente è stretta nella morsa di queste due formazioni, della guerra che hanno scatenato e della crisi che ne è conseguita e che oggi, secondo l’Ocha (Office for the coordination of humanitarian affairs), vede 7,7 milioni di persone con un disperato bisogno di assistenza umanitaria e metà di loro sono bambini.
Sulla linea del fronte
Poco fuori dalle mura cittadine c’è un terrapieno, è il limite fisico tra le zone sotto controllo di Boko Haram e la città di Maiduguri. Soldati dell’esercito regolare e milizie di cittadini volontari presidiano il confine. I militari sono continuamente in contatto con le altre postazioni attraverso le radio e dietro ad alcuni pneumatici che formano una barricata è stata posizionata una mitragliatrice. A spiegare la situazione, proprio sulla linea del fronte, è Iaku Mohamed, uno dei leader della Civilian joint task force, la formazione di cittadini che volontariamente hanno deciso di armarsi e dare il proprio supporto alle forze governative nella lotta contro il terrorismo. “Questo avamposto è la prima linea perché da qui i terroristi fanno le loro incursioni in città. È rischioso, ma è un sacrificio che noi dobbiamo fare per la nostra gente e il nostro Paese. Tutti dobbiamo dare il nostro contributo nel combattere il terrorismo”.
Gli uomini non smettono un’istante di parlare alle radio e la tensione è sempre altissima e come sopraggiunge la sera occorre riparare in città perché con il calare delle tenebre il rischio di un agguato o di un attacco suicida aumenta esponenzialmente. Ma prima di abbandonare la linea del fronte, mentre i militari scrutano l’infinito attraverso la scanalatura dei propri fucili, Iaku Mohamed si concede il tempo di un’ultima confessione: “Tra i miei uomini ci sono sia cristiani che musulmani e questo è un fattore molto importante perché ci rivela come la guerra di Boko Haram non sia una guerra di religione, ma sia soltanto terrorismo. Loro, gli jihadisti, odiano tutti indiscriminatamente e la loro unica fede è quella del sangue. È molto importante questo aspetto per comprendere che l’Islam non ha niente a che vedere con questo orrore. Confondere la fede musulmana con la guerra delle bandiere nere significa fare il gioco dei terroristi. Né in Africa e neppure in Occidente possiamo permetterci questo sbaglio se vogliamo mettere fine, per sempre, al terrorismo“.
Le foto sono di Marco Gualazzini
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