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Il contatto con la natura, non solo ricarica il corpo di energia, ma – se vissuto con qualche piccolo opportuno accorgimento – predispone la mente in uno stato di maggior apertura e il cuore a una ritrovata ricettività nei confronti dell’ineffabile.
Ci sono diversi modi di entrare in natura. Spesso adottiamo in automatico la modalità… cittadina. Passeggiamo sì in un campo, in un bosco, ma parliamo o pensiamo nei modi e coi contenuti consueti, come se stessimo in ambiente urbano.
Il modo di camminare in città prevede la creazione automatica di uno scudo protettivo, ci chiudiamo in una bolla – consapevolmente o meno – in cui rumore, inquinamento, bombardamento di stimoli e di immagini – non penetrino troppo nella nostra sfera personale. Il nostro incedere, il nostro parlare e anche solo pensare, si adatta all’incalzante ritmo cittadino.
Siamo così abituati a frequentare più le città che i boschi, che il rischio è, una volta finalmente in vacanza, di riproporre lo stesso stile, agitato, chiuso agli stimoli esterni e dal ritmo incalzante anche quando e dove la strategia da utilizzare è proprio quella opposta.
Basta poco, basta centrarsi un attimo per settare lo stile relazionale adatto per un ambienta naturale darsi l’intenzione di rimuovere ogni chiusura e, anzi, di aprirsi a percezioni sensoriali, sonore, visive e uditive che provengono da una realtà sicuramente più consona alla nostra struttura fisica e psichica. Il modo migliore è chiedere il permesso al luogo prima di entrarvi, una pratica cara agli antichi romani e diventata attuale nell’ambito dell’Ecopsicologia. Predisporsi a entrare in un luogo altro con la stessa attenzione discrezione con cui si entrerebbe nella casa di un vicino che ci apre la sua porta, ci suggerisce l’atteggiamento adatto.
Aprendoci alla ricchezza di stimoli esterni, si placa, di solito, il chiacchiericcio interiore. Se questo non avviene spontaneamente si può provare a facilitare il processo focalizzando attivamente l’attenzione prima sul proprio respiro e poi sui messaggi provenienti dai cinque sensi, osservando con attenzione e curiosità tutto il circondario.
Il contatto con la natura ci permette di scaricare elettricità statica, fa circolare meglio il sangue – spesso all’aperto siamo anche in movimento – e irrora il cervello di ossigeno, rasserena l’animo grazie ai predominanti toni verdi e azzurri. Ma benefici ancora maggiori avvengono sul piano emotivo e mentale, grazie alla possibilità di confortarsi con un ambiente diverso da quello abituale in cui è possibile rivedere pensieri ed emozioni in un’altra luce, speso ricevendo brillanti intuizioni.
Se l’incontro con l’ambiente naturale non ha finalità utilitaristiche – raggiungere una cima, raccogliere funghi ecc. – si può mettere in atto una vera e propria meditazione camminata in cui svuotandosi dai pensiero più grevi e quotidiani, si potranno udire i sussurri di voci interiori normalmente trascurate e ci si potrà arricchire di una più ampia e completa conoscenza di sé. E se la meditazione prosegue, il focus dell’attenzione oltrepassa i limiti del nostro ego e cominciamo anche a sentire il luogo che stiamo attraversando come qualche cosa di vivo, in cui alberi, animali, pietre e nuvole acquisiscono una dimensione archetipica di interlocutori con cui poter entrare in relazione, a cui poter confidare un cruccio o un dubbio, a cui chiedere un consiglio, un’idea, l’ispirazione.
I templi degli antichi Celti, in cui entrare in contatto con qualche cosa di più ampio di noi, erano i boschi. Abbiamo dimenticato le nostre origini native europee, ma esse sono solo sopite nel nostro inconscio collettivo e in quello ecologico. Non abbiamo bisogno di manuali per sapere come trovare l’ispirazione in un bosco… basta attingere a un sapere dimenticato che è appena sotto la soglia della coscienza, basta desiderarlo e aprirsi, con umiltà e meraviglia.
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