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Bombardamenti aerei hanno colpito un funerale a Sana’a, capitale dello Yemen. Accusata la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita.
È drammatico il bilancio dell’attentato che ha colpito sabato 8 ottobre la capitale dello Yemen, Sana’a. Secondo quanto riferito dal coordinamento umanitario delle Nazioni Unite presente nella nazione araba, una serie di bombardamenti aerei ha provocato almeno 140 vittime e 525 feriti.
I raid hanno preso di mira una sala nella quale si stavano svolgendo i funerali del padre del ministro degli Interni del governo dei ribelli sciiti houti, Jalal Al-Rouichène. Immediatamente è stata accusata della strage la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, che tuttavia ha negato con forza ogni responsabilità. I militari hanno indicato che “le cause di questo massacro” vanno ricercate “altrove”, e hanno proposto agli Stati Uniti di aprire un’inchiesta sull’accaduto.
Il Consiglio politico supremo, organismo istituito dagli houti direcente assieme ai sostenitori dell’ex presidente Ali Abdallah Saleh, ha assicurato che la strage “non resterà impunita”. Da parte sua, Washington si è detta “particolarmente turbata” dall’attacco, confermando la volontà di indagare: “La cooperazione che gli Stati Uniti hanno avviato con l’Arabia Saudita non significa aver concesso carta bianca”, ha dichiarato il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca, Ned Price, ravvivando di fatto i sospetti sulla paternità saudita dell’attacco.
Ma durante una manifestazione alla quale hanno partecipato, domenica, migliaia di yemeniti nella capitale Sana’a, il dito è stato puntato senza remore sia contro l’Arabia Saudita che contro gli Usa. “Dopo questo massacro – ha gridato alla folla un alto responsabile dei ribelli, Mohamed Ali al-Houthi – siamo ancora più determinati ad affrontare i nostri aggressori. Tutti i fronti di guerra contro il nemico saudita vengano aperti, così come nuovi centri di formazione militare”.
Gli oratori hanno scandito inoltre slogan che ricordano quelli dei cortei anti-americani in Iran. Proprio Teheran è accusata di sostenere i ribelli, sin dal 2014, nel loro tentativo di contrastare il governo dell’attuale presidente Abd Rabbo Mansour Hadi.
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