Acqua

Acqua pubblica e sostenibile: 10 buone idee per gestirla

L’acqua pubblica e sostenibile è un concetto possibile e un bene prezioso. Per questo è fondamentale gestirla in modo intelligente: dieci idee per farlo.

L’acqua sostenibile è un concetto possibile

L’acqua è un bene comune. Fondamentale, prezioso e sempre più raro. Secondo i dati del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, oggi circa 748 milioni di esseri umani non hanno accesso all’acqua potabile e 2,5 miliardi devono fronteggiare una scarsità cronica.

 

È per questo che assicurare una buona gestione delle risorse idriche è fondamentale (nonché un dovere morale) anche nelle aree più fortunate della Terra. Ecco allora alcune idee, proposte, esperienze raccolte in giro per il mondo che possono rappresentare una sorta di decalogo: utile per chi amministra e gestisce l’acqua così come per i cittadini.

 

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Acqua sostenibile vuol dire ridurre i consumi di acqua, da parte di cittadini ma anche e soprattutto di imprese © Justin Sullivan/Getty Images

 

1. Aiutare le imprese a consumare meno

Le imprese possono fornire un contributo eccezionale in termini di risparmio idrico. Uno studio condotto dall’ente di certificazione internazionale Dnv Gl Business Assurance e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale – citato da Gabriella Chiellino, presidente di eAmbiente Group, in un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa – ha rivelato che in Italia solo il 57 per cento delle aziende ritiene che le problematiche relative all’acqua possano avere un impatto sulle proprie strategie di business. Mentre il 40 per cento dichiara di non essere informato sulla legislazione specifica in materia di acqua.

 

A fronte di ciò, però, alcune imprese si sono invece impegnate fortemente nella riduzione dei consumi. È il caso di Barilla e Mutti, ad esempio. La prima ha ad esempio “rilocalizzato” in Italia la coltivazione di grano da una regione arida degli Stati Uniti, riducendo sensibilmente l’uso di acqua. Mentre Mutti ha calcolato, assieme al Wwf, la sua impronta idrica totale, ovvero la quantità di acqua presente in ogni suo prodotto, compresa quella necessaria, ad esempio, per la produzione degli imballaggi.

 

Per invogliare anche altre aziende a seguire l’esempio si possono ideare incentivi fiscali, campagne di sensibilizzazione, tariffe agevolate per i più virtuosi. Un compito che spetta, ovviamente, alle amministrazioni pubbliche.

 

2. Contenere il dissesto idrogeologico

Soprattutto in Italia, il problema del dissesto idrogeologico è estremamente presente nella vita di milioni di cittadini. Basti pensare alle alluvioni che hanno colpito l’interno della Liguria negli ultimi anni. Ma come affermato dal Consiglio nazionale della Green Economy, «su bacini idrografici che hanno subito per alcuni decenni una crescita esponenziale del territorio urbanizzato non basta fermare il consumo di suolo. È necessario tornare indietro: restituire alle aree la capacità di laminare ed infiltrare l’acqua piovana. Un processo avviato ormai da alcuni anni, soprattutto nei paesi anglosassoni ma anche in gran parte del Nord Europa, attraverso la diffusione di una varietà di approcci e tecniche che vanno complessivamente sotto il nome di Sistemi Urbani di Drenaggio Sostenibile».

 

inondazioni dissesto idrogeologico
Il dissesto idrogeologico è una delle cause principali delle inondazioni ©Mark Runnacles/Getty Images

 

In termini concreti, si tratta di adottare misure e infrastrutture volte ad aumentare la capacità di deflusso delle acque piovane ogni volta che si realizzano opere piccole o di medie dimensioni: strade, raccordi, edifici pubblici o privati, fabbriche. Perché “attraverso molti piccoli interventi diffusi, è possibile dare un contributo molto significativo”. Diminuendo anche il rischio di contaminazione delle falde acquifere e dunque preservando le risorse.

 

3. Ridurre le perdite in rete

Un altro elemento fondamentale per una gestione sana delle risorse idriche è diminuire le perdite che si registrano sulla rete. Proprio con questo obiettivo la società Lyonnaise des Eaux, che gestisce la distribuzione di acqua pubblica nella città  francese di Lione, ha lanciato ad esempio lo “Smart metering”. Si tratta di un sistema di telerilevamento (con contatori dotati di trasmettitori ad ampio raggio) che consente ai cittadini di monitorare quotidianamente i loro consumi, e agli amministratori di individuare dati anomali.

 

E non si tratta di una questione da poco: la stessa azienda spiega infatti che in media la dispersione “è pari al 25 per cento, con punte che possono arrivare al 40 per cento in alcune aree”.

 

4. Controlli mirati, zona per zona, sostanza per sostanza

Fondamentale è poi, ovviamente, il controllo della qualità dell’acqua pubblica. In Italia la legge prevede controlli su una vasta gamma di sostanze contaminanti. Ma si tratta di una formula rigida, uguale per tutto il paese. Mentre in realtà ciascun territorio ha le sue caratteristiche, la sua storia. E dunque esigenze diverse.

 

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In Italia la normativa per i controlli idrici è unica in tutto il paese. Sarebbero utili invece controlli mirati in determinate aree ©Peter Macdiarmid/Getty Images

 

Per questo il Gruppo Cap, ha proposto di introdurre controlli specifici zona per zona, alla ricerca di contaminanti peculiari. Concentrando maggiori sforzi, ad esempio, sulla ricerca di determinate sostanze (in alcune aree si sono riscontrati, ad esempio, problemi legati all’arsenico o all’atrazina). In questo modo si può garantire più facilmente una buona qualità dell’acqua, a tutto vantaggio della sicurezza dei cittadini.

 

“Il nostro gruppo – aggiunge Anglese – è il primo in Italia ad aver avviato un progetto come il Wsp, Water Safety Plan, in applicazione alla direttiva europea sulle acque potabili, con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di un sistema globale di gestione del rischio esteso all’intera filiera idrica, dalla captazione fino all’utenza finale. Esso consentirà di garantire ancor meglio la qualità dell’acqua potabile erogata”.

 

5. Nuove tecnologie per disinfettare?

Un ulteriore punto fondamentale è legato alle tecnologie per la disinfezione dell’acqua pubblica. L’uso del cloro (la cosiddetta clorazione) è uno dei sistemi più utilizzati, grazie soprattutto alle caratteristiche battericide della sostanza. È anche la procedura meno costosa, permette di mantenere l’agente disinfettante in permanenza nell’acqua e non presenta rischi per la salute.

 

Disinfezione acqua cloro
Oltre al cloro esistono ormai anche alcune alternative per disinfettare l’acqua pubblica © Joe Raedle/Newsmakers/Getty Images

 

Ma esistono anche delle nuove tecnologie. È possibile ad esempio eliminare la maggior parte dei germi grazie a delle membrane che filtrano l’acqua bloccando virus e batteri. “Ma si possono anche trattare gli impianti attraverso la tecnologia a radiazione ultravioletta – sottolinea Anglese – oppure mediante ozonizzazione. Il vantaggio della prima, è che si evita il contatto del cosiddetto reagente con l’acqua, diversamente da quanto accade con l’ozono o con il biossido di cloro”.

 

6. Riflettere sul costo dell’acqua

Altro punto sul quale riflettere è legato al costo dell’acqua, con l’obiettivo di ridurre i consumi e (soprattutto) gli sprechi. Modulando i prezzi, infatti, è probabilmente possibile orientare anche l’utilizzo della risorsa. In Italia, ad esempio, l’acqua costa pochissimo: in media 1,55 euro al metro cubo. In alcune città anche meno, fino a 60 centesimi. In Francia, al contrario, costa 2,82 euro, in Belgio e in Lussemburgo 3,44. Ciò significa che il nostro è un sistema magnanimo e quelli altrui no? Non esattamente. Certo, l’acqua è un bene comune, essenziale, e un diritto fondamentale. Ma è anche vero che una bolletta troppo leggera può incentivare un uso troppo disinvolto del bene.

 

Nella città francese di Rennes, ad esempio, dal luglio del 2015 è stato introdotto un sistema tariffario declinato in termini sia sociali che ecologici. Il consumo dei primi dieci metri cubi è infatti gratuito, per aiutare i meno abbienti. Dalla goccia successiva, su applica una tariffa, che però è variabile in funzione dei consumi: più questi aumentano, più aumenta il prezzo al metro cubo. Questo per i cittadini. Per le aziende, è stata invece cancellata la tariffa regressiva (che, paradossalmente, diminuiva all’aumentare dei consumi).

 

7.  Canali irrigui al posto di vasche anti-inondazione

Nell’ambito di una gestione virtuosa dell’acqua, inoltre, è necessario affrontare poi il problema del contenimento delle piene derivanti dalle alluvioni. Una possibile soluzione è la costruzione di vasche volano: si tratta di grandi “contenitori” in cemento, utili per raccogliere le acque in eccesso vicino ai fiumi. Il problema è che l’impatto visivo di tali opere, spesso edificate in cemento, è particolarmente forte.

 

Piena ponte vecchio firenze
Il Ponte Vecchio di Firenze minacciato da una piena ©Franco Origlia/Getty Images

 

Il Gruppo Cap in Lombardia sta perciò studiando la possibilità di instradare le acque, in caso di inondazione, verso quel reticolo di canali irrigui – in buona parte progettati e costruiti in epoca medievale – di cui la provincia milanese è ricca. Ciò consentirebbe di salvaguardare il paesaggio garantendo al contempo la sicurezza dell’area. “Va detto – osserva Anglese – che per la corretta gestione delle acque meteoriche che si riversano nelle reti fognarie occorrerebbe in realtà eliminarle alla fonte: se non si immettessero più in fognatura le acque piovane dei tetti di tutti gli edifici si otterrebbero notevoli risultati, andandole a disperdere in altro modo, ad esempio infiltrandole nel sottosuolo”.

 

“Le vasche di accumulo (o vasche volano) – aggiunge l’ingegnere – rappresentano una soluzione integrativa, tenuto conto che molto spesso vi sono difficoltà per la loro realizzazione. Una possibilità, da studiare e valutare come sta facendo Gruppo Cap con l’università di Milano è effettivamente quella di riutilizzare il reticolo idrico minore per una volanizzazione diffusa: recuperare quanto già fatto dai cistercensi con le marcite e i canali di irrigazione, per far defluire le acque in eccesso e sfruttarle in agricoltura”.

 

8. Riforestare le aree inondabili

Ma anche interventi infrastrutturali possono essere utili per migliorare le reti (e anche il loro impatto paesaggistico). L’eliminazione o l’arretramento degli argini di quella che viene definita dagli esperti la “piana inondabile” di un corso d’acqua permette di creare delle aree di espansione naturale delle piene. In altre parole, invasi non artificiali che consentono di raccogliere le eccedenze nei flussi. Ciò senza ricorrere ad infrastrutture che obbligano ad artificializzare i corsi d’acqua. In questo senso, degli esempi virtuosi sono stati realizzati dal Servizio Tecnico di bacino Romagna, ente istituito nel 2012 con l’obiettivo di supervisionare i bacini idrici locali.

 

Ma non è tutto. È possibile ad esempio adottare politiche di riforestazione delle aree inondabili, al fine di rallentare i deflussi: in questo modo si ottiene il doppio vantaggio di attenuare i rischi e di aiutare l’ambiente grazie alla presenza di nuovi alberi. Un esempio è stato realizzato nel Parco dell’Oglio Sud, in Lombardia.

 

9. Recuperare la sinuosità naturale

Un modo forse più banale, ma altrettanto efficace, di fronteggiare le inondazioni, inoltre, può essere quello di recuperare la sinuosità naturale dei corsi d’acqua. Molti di questi sono stati infatti modificati nei decenni scorsi al fine di recuperare territorio da destinare a fini agricoli o edilizi.

 

Ciò ha aumentato la velocità dell’acqua e, conseguentemente, il rischio idrico a valle. Ma come recuperare il corso storico di un fiume? Ad esempio favorendo i naturali processi geomorfologici o – quando non è possibile assecondare i processi naturali – per mezzo di opere artificiali.

 

10. La bottiglia griffata

Guardando infine più alla vita di tutti i giorni, non si può dimenticare che è fondamentale incentivare il più possibile l’uso dell’acqua di rubinetto. Quella in bottiglia, infatti, nonostante sia ben più dannosa per l’ambiente rispetto a quella di rubinetto (soprattutto per via delle bottiglie di plastica e dei trasporti necessari per distribuirla sul territorio), è molto utilizzata nei paesi ricchi. Anche per ragioni di “stile”.

 

Parigi bottiglia acqua Charpin
Per invogliare i cittadini ad utilizzare l’acqua di rubinetto Parigi propone delle bottiglie disegnate da Pierre Charpin @Mairie de Paris

 

Così, nove anni fa la municipalizzata dell’acqua potabile di Parigi, Eau de Paris, ha deciso di produrre una bottiglia di vetro d’autore, esteticamente originale e piacevole, disegnata da Pierre Charpin. Un modo per convincere i cittadini a diminuire i consumi di acqua minerale, che secondo un sondaggio era la preferita per il 51 per cento degli abitanti. Questi ultimi affermavano infatti che mettere a tavola una bottiglia era “più elegante” piuttosto che presentare una caraffa.

 

Le bottiglie griffate sono state quindi distribuite nel corso della giornata mondiale dell’acqua del 2007, di fronte all’Hotel de Ville (la sede del Comune): un’occasione anche per pubblicizzare le qualità minerali e igieniche dell’acqua di Parigi. Oggi le caraffe sono vendute al pubblico al prezzo di dieci euro.

 

 

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