Cooperazione internazionale

Cos’è il codice di condotta delle ong e perché Medici senza Frontiere non lo ha firmato

Le ong che operano nel Mediterraneo ora devono rispettare un codice di condotta europeo. Questo prevede anche la richiesta di ospitare forze di polizia armate, ma non tutte le ong vogliono armi a bordo.

Il caso è scoppiato adesso, con il rifiuto da parte di Medici senza frontiere di firmare il codice di condotta per le navi delle ong impegnate in attività di soccorso nel mar Mediterraneo. La questione, però, parte da lontano, dalle accuse arrivate dalla Procura di Catania (mai formalizzate nell’apertura di un fascicolo d’indagine) secondo cui le organizzazioni non governative, nel salvare i migranti sui barconi, violerebbero spesso le norme internazionali spingendo le proprie oltre il confine delle acque territoriali della Libia. Per evitare il  ripetersi di accuse e polemiche sulla questione, l’Italia aveva chiesto all’Unione europea di fare chiarezza e la Commissione europea, lo scorso 14 luglio, ha varato un codice in tredici punti, a cui le ong che operano nel Mediterraneo devono aderire per poter continuare in regola il proprio lavoro.

Lo strappo di Medici Senza Frontiere (e non solo)

Un gommone alla deriva ©Msf
Un gommone alla deriva ©Msf

Alcune delle principali organizzazioni che operano con navi proprie tra il mare di Sicilia e quello libico, Save the Children e i maltesi di Moas, hanno sottoscritto il codice. Ora però arriva un ‘no’ importante, quello di Msf, insieme a quelle altrettanto pesanti della ong straniere Jegend Rettet, Sea watch, Sea eye, Association europeenne de  sauvetage en mer (Sos mediterranee).

Alcuni degli impegni presentati nel codice di condotta potrebbero ridurre l’efficienza e la capacità dell’attuale risposta di ricerca e soccorso con gravi conseguenze umanitarie, secondo il direttore generale di Msf Gabriele Eminente. Alcune proposte – in particolare quella secondo cui di regola le navi impegnate in un soccorso devono sbarcare i sopravvissuti in un posto sicuro invece di trasferirli su altre navi – rappresentano limitazioni non necessarie ai mezzi che sono oggi a disposizione: “Sin dall’inizio delle proprie operazioni in mare Msf ha accettato, e a volte direttamente effettuato, trasbordi da altre imbarcazioni sulle proprie navi, sempre su richiesta o sotto il coordinamento del Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) di Roma”.

No alle armi a bordo delle navi

Ma nel mirino della ong c’è anche l’obbligo di andata e ritorno di tutte le navi di soccorso verso i punti di sbarco “che comporterebbe una riduzione delle navi di soccorso presenti con un conseguente aumento di morti in mare”; la presenza di elementi “che introducono una mancanza di chiarezza su chi contattare e quando e potrebbero rallentare le operazioni di soccorso, quando i minuti possono fare la differenza tra la vita e la morte”. E poi l’obbligo della presenza di funzionari di polizia armati a bordo e l’impegno che gli operatori umanitari raccolgano prove utili alle attività di investigazione, che “sarebbero una violazione dei principi umanitari fondamentali di indipendenza, neutralità e imparzialità”.

Cosa succede adesso? È tutto da vedere: Msf spiega che “anche se non siamo nelle condizioni di poter firmare questo codice di condotta nella sua forma attuale, rispettiamo già molte delle disposizioni che non rientrano tra le nostre preoccupazioni principali, tra cui la trasparenza finanziaria” e quindi “Msf continuerà a condurre le operazioni di ricerca e soccorso sotto il coordinamento della guardia costiera italiana e in conformità con tutte le leggi internazionali e marittime pertinenti”. Il ministero dell’Interno però ricorda che l’aver rifiutato di accettare il codice pone quelle organizzazioni non governative fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso concreto che potranno determinarsi a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse.

Cosa prevede il codice di condotta

Nel dettaglio, il codice di comportamento delle Ong è costituito da un vero e proprio elenco per punti, che detta una serie di regole da rispettare:

  • non entrare nelle acque libiche, “salvo in situazioni di grave ed imminente pericolo” e non ostacolare l’attività della Guardia costiera libica;
  • non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione;
  • non fare comunicazioni per agevolare la partenza delle barche che trasportano migranti;
  • attestare l’idoneità tecnica per le attività di soccorso;
  • informare il proprio Stato di appartenenza quando un soccorso avviene al di fuori di una zona di ricerca ufficiale;
  • tenere aggiornato il Centro di coordinamento marittimo sull’andamento dei soccorsi;
  • non trasferire le persone soccorse su altre navi, eccetto in caso di richiesta del competente Centro di coordinamento per il soccorso marittimo (Mrcc);
  • informare costantemente lo Stato di appartenenza dell’attività intrapresa dalla nave;
  • cooperare con il competente Centro di coordinamento marittimo eseguendo le sue istruzioni;
  • ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico;
  • dichiarare le fonti di finanziamento alle autorità  dello Stato in cui l’ong è registrata;
  • cooperazione lealmente con l’autorità di pubblica sicurezza del luogo di sbarco dei migranti;
  • recuperare, una volta soccorsi i migranti e nei limiti del possibile, le imbarcazioni improvvisate ed i motori fuoribordo usati dai trafficanti di uomini.

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