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Condannati i reporter che svelarono un traffico d’armi dei servizi segreti della Turchia verso la Siria. Spari contro uno di loro davanti al tribunale.
Can Dundar e Erdem Gul, due giornalisti della testata di opposizione turca Cumhuriyet, sono stati condannati il 6 maggio da un tribunale di Istanbul, rispettivamente, a cinque anni e dieci mesi, e a cinque anni di reclusione. La loro colpa: aver rivelato in due articoli l’esistenza di un traffico di armi organizzato dai servizi segreti di Ankara. Ordigni e munizioni che venivano raccolti e spediti in Siria, per aiutare i ribelli.
I due giornalisti erano stati arrestati per questo il 26 novembre scorso: un fatto che aveva suscitato numerose critiche a livello internazionale. Il 26 febbraio, poi, la Corte costituzionale della Turchia aveva stabilito che la loro detenzione era illegittima: i giudici sono stati così costretti a liberare i due reporter (ai quali tuttavia era stato ritirato il passaporto). Una decisione che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva dichiarato di “non rispettare”.
Ieri la sentenza, dopo una nuova udienza a porte chiuse. Ma non è tutto: nel pomeriggio, il tribunale ha ordinato una pausa di qualche minuto. Dundar e Gul sono così usciti dal palazzo di giustizia, per andare incontro ad un gruppo di giornalisti che aspettavano di poter parlare con gli imputati, unica fonte di informazioni in un processo blindato.
Proprio in quel momento un uomo è spuntato dal nulla, gridando “traditore della patria” all’indirizzo di Dundar e puntandogli contro una pistola. Ha esploso tre colpi che fortunatamente hanno solo sfiorato il reporter. Un proiettile ha invece raggiunto Yagiz Senkal, collega dell’emittente televisiva Ntv, che fortunatamente ha riportato solo una lieve ferita ad una gamba.
“Non so chi mi abbia attaccato, ma so chi lo ha incoraggiato, facendo di me un obiettivo”, ha dichiarato Dundar alla stampa. L’attentatore è stato bloccato dall’avvocato e dalla moglie del giornalista, ed è stato successivamente identificato: secondo l’agenzia Dogan si tratterebbe di Murat Sahin, quarantenne originario della città di Sivas, nel nord-est della Cappadocia. Un’area a forte maggioranza conservatrice.
Pochi minuti dopo l’attentato, la sentenza. Nel processo, Erdogan e gli stessi servizi segreti si erano costituiti parte civile: i loro avvocati hanno insistito a lungo affinché ai reporter fossero contestati i reati di “terrorismo” e di “spionaggio”. Il tribunale ha tuttavia ritenuto di accogliere solamente il terzo capo d’accusa, quello cioè di “rivelazione di segreto di stato”.
Il presidente della Turchia, d’altra parte, ha dimostrato di non gradire per nulla la presenza di voci d’opposizione nel panorama giornalistico nazionale. Nello scorso mese di ottobre, a pochi giorni dalle elezioni legislative, due tv critiche nei suoi confronti erano state assaltate e oscurate dalle forze dell’ordine.
Nonostante ciò, l’Unione europea ha continuato a considerare Erdogan come un interlocutore affidabile. Tanto da delegare ad Ankara un delicatissimo lavoro di “selezione” e “filtro” dei migranti siriani diretti verso l’Europa. Una scelta che ha suscitato lo sdegno delle organizzazioni umanitarie di tutto il mondo.
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