La Commissione europea, il parlamento e i rappresentanti dei paesi membri dell’Unione hanno annunciato un accordo sul meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere. Si tratta del carbon border adjustment, sistema attraverso il quale si punta ad introdurre una tassazione specifica per i prodotti importati da nazioni che presentano regolamentazioni meno stringenti di quelle europee in materia di abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra.
👏 This morning, the EU agreed to put a fair price on greenhouse gas emissions embedded in carbon intensive goods entering the 🇪🇺
⏰ Want to know more about the Carbon Border Adjustment Mechanism?
Del progetto si discute da anni a Bruxelles. Era il mese di luglio del 2020 quando la Commissione lanciò una prima consultazione pubblica al fine di introdurre il meccanismo. Che si prefigge due obiettivi: evitare che le aziende europee scelgano di delocalizzare le proprie produzioni al fine di sfuggire alle normative comunitarie in materia di clima. In secondo luogo, colpire le produzioni straniere: si ritiene infatti che le industrie europee possano subire una concorrenza “sleale” da parte di aziende extra-comunitarie che possono produrre a costi inferiori, proprio per via delle normative sul clima meno dure.
L’accordo – che ora dovrà essere approvato prima di poter entrare in vigore ad ottobre del 2023 – scioglie in questo senso una serie di dubbi ma ne lascia altri in piedi. A partire dalla necessità di riformare il mercato Ets di scambio delle emissioni, attraverso il quale si possono acquistare dei “diritti ad inquinare” (in modo da rendere più costose le produzioni ad alto impatto ambientale). Ciò in quanto anche il nuovo meccanismo si baserà proprio sul sistema Ets.
Le ong critiche: “Così si colpiscono le nazioni più povere e meno responsabili”
“L’Unione europea è la prima area commerciale al mondo ad introdurre una carbon tax sulle sue importazioni – ha dichiarato Pascal Canfin, presidente della commissione Ambiente del parlamento europeo -. Se ne parlava da più di vent’anni. È un accordo storico per il clima”. Tuttavia, non sono mancate le critiche. Le organizzazioni non governative hanno infatti sottolineato come la tassa, difendendo le imprese europee, colpirà inevitabilmente quelle straniere, in particolare dei paesi poveri.
In pratica, saranno le aziende delle nazioni che maggiormente patiscono i cambiamenti climatici, e che spesso non sono attrezzate per poterli contrastare, a pagare il prezzo più alto. Per questo era stato chiesto che i proventi della carbon tax alle frontiere – stimati in 14 miliardi di euro all’anno – fossero “girati” ai paesi in via di sviluppo per sostenerne la transizione ecologica. Al contrario, l’accordo prevede che gli introiti vadano ad alimentare il bilancio dell’Unione europea.
I nodi ancora da scogliere e i rischi di aggiramento della norma
Inoltre, per ora ad essere tassate saranno soltanto le emissioni dirette di CO2, ovvero quelle legate alla fabbricazione. Per quelle indirette, spesso particolarmente elevate (come nel caso di quelle legate alla produzione dell’energia elettrica utilizzata per le produzioni), occorrerà aspettare il 2026. Infine, ad oggi la norma per come è costruita imporrebbe una tassa su, ad esempio, una materia prima importata da una nazione “A” che non ha introdotto regolamentazioni stringenti in ambito climatico. Ma non su un prodotto finito proveniente da una nazione “B”, anche se quest’ultima, per la fabbricazione, ha importato la stessa materia prima, dalla stessa nazione “A”.
🚨EU's new carbon border tariff #CBAM passes the buck to the least responsible.
"The EU will force the poorest countries to pay the tariff despite being hardest hit by the climate crisis", says @ChiaraPutaturo.
Occorrerà perciò aggiornare la normativa al fine di evitare facili aggiramenti. E occorrerà anche aspettare la reazione dell’Organizzazione mondiale del commercio, che potrebbe – in linea teorica – giudicare il meccanismo di aggiustamento della CO2 alle frontiere come una misura “protezionista”. L’Unione europea si dice tuttavia certa di aver studiato un testo compatibile con le regole imposte sul commercio internazionale.
Il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno fissato l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030, fondamentale per centrare la sfida del Green Deal.
Complice il crollo del carbone e della lignite, calati di un quinto, lo scenario energetico europeo tira un sospiro di sollievo. Per la prima volta eolico e il solare hanno fornito più elettricità rispetto alle centrali a carbone.
Oggi e venerdì il Consiglio europeo si riunisce a Bruxelles per decidere le nuove ambizioni dell’Unione europea sul clima. Azione di Greenpeace all’alba.
Approvato un regolamento che vincola gli stati membri dell’Ue a diminuire le emissioni di CO2. Ma i Verdi attaccano: “Ci si allontana dagli obiettivi”.
L’Agenzia europea dell’ambiente ha diffuso il rapporto 2015 sulle emissioni di CO2 dei costruttori d’auto. Peugeot, Renault, Citroën e Toyota sono i più virtuosi. Rimandati Fiat-Chrysler, Opel e Ford. Multata la Ferrari.
Fonti rinnovabili, risparmio energetico e crisi economica hanno consentito di tagliare le emissioni di CO2 di quasi un quarto rispetto ai valori del 1990.
Stati Uniti e Unione europea negoziano segretamente per raggiungere un accordo di libero scambio che potrebbe minacciare la salute pubblica e l’ambiente. Si chiama Ttip.
Le emissioni di CO2 nel 2013 sono calate in Europa. L’Italia è tra i paesi che hanno contribuito maggiormente a questo risultato positivo per il clima.