Il rendimento dei pannelli fotovoltaici è un indicatore cruciale per valutare l’efficienza energetica di un impianto solare. Ecco alcuni consigli pratici.
Le emissioni di CO2 del settore elettrico europeo calano del 12% in un anno. Non era mai accaduto dal 1990
Complice il crollo del carbone e della lignite, calati di un quinto, lo scenario energetico europeo tira un sospiro di sollievo. Per la prima volta eolico e il solare hanno fornito più elettricità rispetto alle centrali a carbone.
Sono numeri decisamente positivi quelli rilasciati pochi giorni fa dall’istituto indipendente Agora Energiewende, con sede a Berlino. Nel 2019, il settore elettrico dell’Ue a 28 (Regno Unito compreso) ha emesso il 12 per cento in meno di emissioni di CO2 rispetto all’anno precedente. Allo stesso tempo, la quota di energie rinnovabili nella produzione di elettricità è salita al 35 per cento, facendo segnare un nuovo record. Ora la produzione elettrica da rinnovabili è quasi pari a quella da fonti fossili, calata al 39,9 per cento, di ben 2 punti percentuali in un solo anno.
I dati sono contenuti nell’annuale rapporto “The European Power Sector in 2019“, che raccoglie e calcola le tendenze nel settore energetico europeo. Leggendo le oltre 40 pagine del rapporto, sono due i punti salienti da tenere a mente: primo, per la prima volta dal 1990, le emissioni del settore elettrico calano, e non di poco (12 per cento), rispetto all’anno precedente. Secondo, per la prima volta, l’eolico e il solare hanno fornito più elettricità rispetto alle centrali a carbone. La quota di energia verde nella produzione di elettricità infatti è cresciuta in tutta l’Unione attestandosi al 34,6 per cento, 1,8 punti percentuali in più rispetto al 2018.
In una nota stampa l’analista di Sandbag Dave Jones afferma che “l’Europa è leader mondiale nel sostituire rapidamente la produzione da carbone con energia eolica e solare”. Per questo motivo “le emissioni di CO2 del settore elettrico nell’ultimo anno sono diminuite più velocemente che mai”.
Renewable power capacity is set to expand by 50% between 2019 and 2024, led by solar PV.
This increase of 1,200 GW is equivalent to the total installed power capacity of the US ?? today.
→ https://t.co/9IAnd3FFgj pic.twitter.com/vKq8fn1QVi
— IEA (@IEA) February 7, 2020
Il crollo del carbone nel settore elettrico europeo
Tutti i paesi dell’Ue che impiegano il carbone come fonte energetica, hanno registrato un calo nella produzione di elettricità da questa fonte. Ben 150 terawattora in meno, circa il 24 per cento. Insieme, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito e Italia hanno rappresentato l’80 per cento del calo dell’elettricità prodotta dal carbone.
“Il calo delle emissioni di gas serra nell’Ue è dovuto in gran parte al prezzo delle emissioni di CO2, che ha continuato a spingere sul mercato fonti energetiche dannose per il clima”, afferma Matthias Buck a capo delle politiche energetiche europee in Agora. Non solo ma aggiunge che “il ritmo di espansione deve accelerare ulteriormente”. Entro il 2030, quasi un terzo dell’energia totale nell’Ue dovrà provenire da fonti rinnovabili. Ciò richiederà una crescita di 97 terawattora ogni anno fino al 2030, 33 terawattora in più rispetto a quanto è stato aggiunto nel 2019.
Le emissioni di CO2 a livello globale aumentano
Tutto bene quindi? Assolutamente no. Le emissioni di gas serra infatti continuano ad aumentare, mentre dovrebbero calare di almeno il 7,6 per cento l’anno. Secondo il recente rapporto del Global carbon project, le emissioni di CO2 da fonte fossile sono aumentate ancora, seppure più lentamente nel 2019 (0,6 per cento) rispetto agli anni precedenti (+1,5 per cento nel 2017 e del +2,1 per cento nel 2018). Ciò sarebbe dovuto proprio al calo sostanziale del consumo di carbone negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, ad una crescita economica più debole e una minore crescita della domanda di elettricità in Cina, e ad una crescita economica più debole combinata con un forte monsone in India.
Inoltre come rileva il Global Energy Monitor, l’Europa sta pianificando di investire un totale di 117 miliardi di euro, pubblici e privati, in nuove infrastrutture di gas (centrali elettriche a gas, terminali di importazione di gas naturale liquefatto e gasdotti) che aumenteranno del 30 per cento la capacità di importazione di gas in Europa. Gli investimenti in nuove infrastrutture nel Regno Unito e in Germania rappresentano da soli il 30 per cento di tutte le nuove infrastrutture, pari a 35,9 miliardi di euro, a cui seguono Grecia (14 miliardi di euro), Polonia (13,4 miliardi di euro), Romania (12,8 miliardi di euro) e Italia (11,6 miliardi di euro). Secondo gli autori, investire in nuove infrastrutture di gas fossile oggi crea il rischio di non raggiungere gli obiettivi climatici. Se vogliamo avere una qualche speranza di risolvere la crisi climatica in corso ed evitare i 340.000 decessi per inquinamento atmosferico che si verificano ogni anno in Europa, dobbiamo eliminare di almeno l’80 per cento il consumo di gas naturale entro il 2030 e del 100 per cento entro il 2050, non aumentarlo”, ha detto Mark Z. Jacobson, professore alla Stanford University.
Dello stesso avviso l’Agenzia internazionale dell’energia che ha registrato nel 2018 un aumento delle emissioni globali di CO2 legate al settore energetico (+1,7 per cento a un massimo storico di 33,1 Gt di CO2). Cina, India e Stati Uniti rappresentano ancora l’85 per cento dell’aumento netto delle emissioni, mentre le emissioni sono diminuite per Germania, Giappone, Messico, Francia e Regno Unito. Le previsioni parlano di un aumento sì della quota di rinnovabili (+300 per cento entro il 2040), ma le fonti fossili, come petrolio e gas continueranno a crescere, lasciando sola l’Europa nella corsa alla riduzione delle emissioni.
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