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Justdiggit ha realizzato numerosi progetti di agroecologia in Africa, ripristinando l’ambiente naturale e fermando, di fatto, la desertificazione. Con tecniche semplici e nature-based.
Basta una pala. Per ripristinare gli ambienti naturali e proteggere il suolo dalla perdita di fertilità e dalla desertificazione. Ne sono convinti gli esperti dell’ong Justdiggit (letteralmente “scava e basta”), che in Africa, precisamente in Tanzania e Kenya, hanno realizzato decine di progetti di ripristino e conservazione del paesaggio, recuperando le terre degradate attraverso semplici tecniche agroecologiche. L’obiettivo è di ripristinare il bilancio idrico e la vegetazione, in modo tale da generare un effetto climatico positivo, riducendo gli eventi meteorologici estremi come inondazioni e siccità, stoccando grandi quantità di CO2 e raffreddando la temperatura regionale.
L’associazione olandese, formata da esperti e ricercatori che lavorano in Africa a progetti di cooperazione internazionale, ha presentato i propri risultati a Seed & Chips, il summit su cibo e innovazione tenutosi a Milano a maggio. “Il nostro lavoro prevede interventi semplici, come la messa a dimora di nuovi alberi o la creazione di water bund che fertilizzano il terreno e il suolo”, spiega a LifeGate Marjolein Albers direttore generale dell’Ong. “In Kenya ad esempio piove quasi come nei Paesi Bassi, ma solo due tre volte l’anno. Quindi il suolo fertile viene dilavato, degradandosi”.
Invece grazie ai cosiddetti water bund è possibile stoccare l’acqua in quelle che somigliano a buche più o meno grandi. I bund sono tra le tecniche più comuni utilizzate in agricoltura per raccogliere il deflusso superficiale, aumentare l’infiltrazione dell’acqua e prevenire l’erosione del suolo. Il loro principio prevede di scavare una buca – da qui la pala – e costruire dei cumuli lungo le linee di contorno, così che il deflusso dell’acqua venga rallentato: in questo modo si ha una maggiore infiltrazione d’acqua e ad una maggiore umidità del suolo. “Abbiamo lavorato con i Masai in Kenya, chiedendo loro di lavorare gli appezzamenti per poi spostarsi su un’altra zona e lasciare a quest’ultimi il tempo per la ripresa vegetativa”, racconta la Albers. “Una sorta di rotazione colturale”. In due anni la vegetazione e i cicli naturali ritornano a nuova vita. “Questo accade perché i semi sono già presenti nel suolo, ciò che serve è una gestione sostenibile dell’acqua. E mostrare agli agricoltori cosa fare per preservare la terra usando solo una pala. E scavando”.
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I benefici di queste semplici pratiche sono numerosi, in particolare per quelle aree d’Africa dove l’erosione del suolo avanza di anno in anno. La ritrovata copertura vegetale va a migliorare le condizioni del terreno, aumentando l’infiltrazione dell’acqua. Inoltre i sistemi radicali della vegetazione tengono insieme il terreno e riducono ulteriormente l’erosione, mentre la maggiore disponibilità di umidità del suolo aumenta la stagione di crescita (Taylor, 2007). Il ripristino del paesaggio ha anche un impatto positivo sul microclima. Raffredda l’area fornendo maggiore ombreggiamento, mentre la vegetazione che traspira l’umidità raffredda l’aria circostante e porta ad un aumento dell’umidità dell’aria (Werth and Avissar, 2002; Reij, 2013; Pielke Sr et al., 2006).
La vegetazione ha anche effetti sulla circolazione dell’aria, sulle nuvole e sulle precipitazioni (Ellison et al., 2017) ed è in grado di rallentare il movimento delle nuvole: a causa di questa decelerazione e dell’aumento dell’umidità dell’aria, le nuvole si compattano aumentando la probabilità di precipitazioni.
I risultati sono stati impressionanti: finora solo nella regione di Dodoma in Tanzania il programma ha ripristinato 194.400 ettari di terreno, con la crescita di almeno 14 milioni di alberi che continuano a fornire riparo e protezione del suolo. E garantire alle comunità sviluppo e sicurezza alimentare.
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