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Nel catanese sequestrata una catena di supermercati inquinata dalle agromafie, così il sistema condiziona lavoro, distribuzione e prezzi del settore agricolo.
Anche se gli sforzi per contrastare il caporalato sono stati un buon inizio, la strada per estirpare illegalità e criminalità organizzata dal settore dell’agricoltura è ancora lunga. Un piccolo passo lo ha fatto la polizia di Catania, con il maxi-sequestro di beni per un valore di 42 milioni di euro, tra cui l’intero patrimonio aziendale della catena di supermercati G.M. che, secondo l’ipotesi della questura, sarebbe gestita da persone che gravitano nell’area di una cosca mafiosa, quella dei Cappello-Bonaccorsi.
Allo stesso tempo si tratta però di un fatto di cronaca che dimostra, ancora una volta, il forte radicamento delle mafie nel comparto agricolo.
Secondo Coldiretti, l’associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, solo nel 2017 il business delle agromafie è cresciuto del 30 per cento, raggiungendo un volume d’affari di 21,8 miliardi di euro.
Catania sequestro beni illeciti appartenenti a soggetti vicini a cosca mafiosa “Cappello-Bonaccorsi”.#squadramobile e Divisione Anticrimine hanno sottoposto a sequestro l´intero patrimonio aziendale di una catena di supermercati per un valore di oltre 41milioni di euro pic.twitter.com/qHvblrTBxU
— Polizia di Stato (@poliziadistato) 11 gennaio 2018
Il sequestro, spiega la polizia, ha riguardato tredici supermercati, un distributore di carburanti, terreni edificabili, ville, automobili e conti correnti e rapporti bancari, questi ultimi per un valore di 250mila euro. Si tratta di beni acquisiti illecitamente, soprattutto grazie alla capacità di inserirsi nel mercato della grande distribuzione di generi alimentari, reimpiegando il denaro derivante da attività illecite.
Dal controllo dei supermercati a quello della distribuzione dei prodotti agroalimentari, le mafie condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del vero o falso made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’italian sounding (quei prodotti falsificati che richiamano prodotti italiani, come il parmesan) e lo sviluppo di nuove reti di smercio.
Così facendo, spiega l’associazione dei coltivatori diretti, la malavita si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio made in Italy.
.@coldiretti, 5mila ristoranti in mano alla criminalità https://t.co/TgYajQrsmW
Dal vino alla pasta fino alla ristorazione: un business da 21,8 mld per agromafie. È quanto afferma la Coldiretti in relazione alla maxioperazione della Dda di Catanzaro— VITA.it (@VITAnonprofit) 9 gennaio 2018
“Le agromafie vanno contrastate nei terreni agricoli, nelle segrete stanze in cui si determinano in prezzi, nell’opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione di prodotti che percorrono migliaia di chilometri prima di giungere al consumatore finale ma anche con la trasparenza e l’informazione dei cittadini che devono poter conoscere la storia del prodotto che arriva nel piatto”, secondo Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti. La piaga dell’agromafia colpisce anche la ristorazione: sarebbero infatti cinquemila i ristoranti italiani in mano alla criminalità, in un sistema malavitoso che impone ricatti ed estorsioni e che acquisisce locali, completando la sua filiera criminale.
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