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Gabbie strette e fatiscenti, poca acqua e condizioni igieniche scarse. Questa è la situazione in un allevamento per pellicce polacco.
In Italia l’allevamento per la produzione di pellicce è finalmente un ricordo del passato, ma in altri Paesi europei non è ancora così. Quest’anno abbiamo deciso di andare in Polonia in un allevamento di volpi per mostrare, grazie alla potenza delle immagini, i motivi per cui dobbiamo mettere la parola fine alle pellicce in tutta l’Unione europea.
In pochi giorni organizziamo tutto, il viaggio dura oltre tredici ore. Attraversiamo la Svizzera, l’Austria, la Germania, ci fermiamo a dormire vicino a Norimberga e la mattina presto ripartiamo per raggiungere la Polonia. In auto siamo io, Simone, Francesco e Marcello, che ci ha accompagnato per filmare. Nessuno di noi aveva mai visto un allevamento di volpi dal vivo e più ci avviciniamo alla destinazione più l’ansia cresce. In Italia infatti le volpi non sono allevate dagli anni novanta, ma fino allo scorso anno venivano ancora allevati i visoni, una produzione che abbiamo più volte documentato attraverso le nostre indagini.
Una volta all’hotel scarichiamo tutti i nostri bagagli che per il novanta per cento sono composti da telecamere, faretti luci e radio. Abbiamo giusto il tempo di riposare un po’, poi ceniamo e iniziamo a prepararci. Manca poco all’azione, prima di rimetterci in macchina controlliamo ancora per bene l’allevamento dai nostri computer per assicurarci che sia tutto ok, ripassiamo il piano ancora una volta e siamo pronti per andare, sono le 23:30.
Parcheggiamo in un campo, fuori c’è la luna piena. Dobbiamo attraversare un bosco e poi un ultimo campo prima di trovare l’allevamento. Camminiamo nella notte e iniziamo a sentire i versi delle volpi. Più camminiamo, più sentiamo un odore selvatico e pungente e i loro versi si fanno più vicini. Piazziamo le nostre scale sul muretto dell’allevamento per aiutarci a scavalcare ed entriamo. Entro per ultima e quello che mi trovo davanti è davvero doloroso. Un capanno lunghissimo fatiscente e file di piccole gabbie singole lungo tutto il perimetro dell’allevamento. I loro occhi ci fissano, alcune sono spaventate, altre incuriosite e ci annusano.
Le loro zampette leggere si muovono avanti e indietro sulla rete metallica sotto i loro piedi. Entro nel primo capanno e la scena che ho davanti mi spezza il cuore: in ognuna di quelle volpi rivedo i miei cani. Nei loro occhi, nelle zampe, nelle movenze, nella loro curiosità, nel loro essere così schive. Le gabbie sono sospese da terra e dentro sono vuote eccetto una tazza per l’acqua, in molti casi vuota, e all’esterno un vassoietto con della carne che possono mangiare attraverso la rete.
Molte hanno movimenti stereotipati, continuano ad andare avanti e indietro: un evidente segno di stress causato dalle condizioni di prigionia. Mi avvicino a una volpe bianca con cui ho passato la maggior parte del tempo lì dentro, sembra più docile e curiosa delle altre, fa dei versetti e si avvicina alla rete per annusarmi, non scorderò mai quegli occhi. Chissà cosa pensava di noi guardandoci. Oggi ripenso a lei e al fatto che essendo nata lì dentro ed essendo usata come riproduttore non ha mai visto nient’altro. Non ha visto boschi o fiumi, ma solo quelle mura, quella tettoia, quella rete metallica, avrà visto i suoi cuccioli strappati per essere uccisi con una scarica elettrica in bocca e nel retto, li avrà guardati aspettando il suo turno.
Nell’allevamento attira la mia attenzione anche la volpe nella gabbia vicino a lei: ha le gengive molto gonfie causate da una patologia ereditaria molto comune nelle volpi “da allevamento”. Si tratta di una malattia genetica che colpisce le volpi selezionate per la produzione di pellicce e che peggiora notevolmente le loro condizioni a causa della vita malsana negli allevamenti.
Sono animali che in natura hanno una vita sociale complessa, formano coppie e gruppi familiari e sono abituate a scavare tane con numerosi tunnel e muoversi in un raggio molto ampio (fino a venti-trenta chilometri quadrati per le volpi artiche). Le volpi rosse sono in grado di camminare anche dieci chilometri al giorno, mentre le volpi artiche nelle stagioni migratorie coprono fino a cento chilometri in un singolo periodo.
Non è possibile che oggi esistano ancora allevamenti di animali per la produzione di pellicce. Ora è il momento di fare la storia e chiuderli in tutta Europa. Con la campagna Fur free Europe, promossa da oltre 60 associazioni per i diritti animali in 23 Stati membri, in poco più di nove mesi abbiamo raccolto più di un milione e mezzo di firme di cittadini europei che vogliono vedere la fine di un sistema di produzione crudele, superfluo e non etico.
La raccolta firme si chiuderà il 1 marzo 2023 ed è ancora fondamentale che migliaia di cittadini firmino l’Iniziativa dei cittadini europei, mostrando così alla Commissione europea quanto sia urgente legiferare a tutela di questi animali e vietare la produzione, l’importazione e il commercio di pellicce in Europa. Firma anche tu ora!
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