Qual è lo stato di salute dell’ambiente in Russia dopo quasi 4 anni di guerra

Un report di Greenpeace denuncia il modello politico-economico della Russia: un intreccio di estrattivismo, autoritarismo e guerra che distrugge l’ambiente, con pesanti ripercussioni sull’ecosistema globale.

Il modello politico-economico della Russia contemporanea si basa su estrattivismo, autoritarismo e guerra. Si tratta di un modello dove questi elementi sono interconnessi e si rafforzano a vicenda, minacciando non solo il futuro del Paese, ma anche la stabilità ambientale globale.

È la conclusione a cui sono giunti gli esperti di Greenpeace International, che hanno pubblicato un lungo report sulle condizioni ambientali nella Russia post-invasione dell’Ucraina e l’impatto che esse hanno a livello locale e mondiale.

Il documento (“Fossil Fuel Empire”, L’impero dei combustibili fossili), analizza la situazione ecologica, la repressione dei movimenti ambientalisti e l’impatto globale delle politiche ambientali della Russia: un Paese che nel 2023 ha messo al bando la stessa Greenpeace, ma dove c’è chi ha ancora il coraggio di lottare per l’ambiente.

L’estrattivismo e la guerra

Estrattivismo, autoritarismo e guerra. Sono queste le parole chiave, secondo il report, sulle quali si fonda il modello politico-economico della Russia moderna. La guerra in Ucraina, infatti, è in larga parte favorita dai proventi dei combustibili fossili che, anziché essere distribuiti in modo equo per migliorare la qualità della vita della popolazione, alimentano il militarismo e gli interessi delle élite. Èlite che a loro volta dipendono proprio dallo sfruttamento delle risorse naturali per mantenere saldi ricchezza e potere. In questo modo, sostiene Greenpeace, si genera un circolo vizioso che distrugge la natura e minaccia la giustizia sociale e ambientale, rendendo di fatto impossibile la transizione verso uno sviluppo più giusto, sostenibile e pacifico.

petrolio russia siberia
Estrazione di petrolio a Nefteygansk, in Siberia © Oleg Nikishin/Getty Images

“Vladimir Putin e i suoi fedelissimi hanno fatto dell’estrattivismo il fondamento di un sistema basato su corruzione, propaganda imperialista e repressione”, si legge nel report di Greenpeace. “Un sistema in cui un ristretto circolo di élite trae profitto dallo sfruttamento delle persone e della natura, nonché dalla conquista con la forza dei territori degli Stati confinanti”.

Questo modello, sostengono gli esperti di Greenpeace, minaccia non solo il futuro della Russia, ma anche la stabilità globale, poiché accelera la crisi climatica e contribuisce alla perdita di biodiversità in un mondo dove tutto è interconnesso.

La riconversione bellica

Dopo il 2022, uno dei cambiamenti più evidenti è stato l’aumento delle spese militari e per la sicurezza, che oggi assorbono fino al quaranta per cento del bilancio federale, scrive Greenpeace. Fondi che vengono sottratti ai settori civili, alla tutela ambientale e allo sviluppo sostenibile.

La riconversione bellica dell’economia ha poi intensificato la produzione industriale nei comparti più inquinanti, come la difesa e la metallurgia pesante. Inoltre, l’uscita dal mercato russo delle grandi compagnie energetiche occidentali ha privato il Paese di tecnologie che rendevano l’estrazione delle risorse almeno parzialmente più responsabile.

Il risultato? Deforestazione, contaminazione delle acque e crescente sfruttamento del suolo. Con ricadute che si ripercuotono sull’intero ecosistema. “Il sistema oligarchico che sostiene la leadership politico-militare della Russia ha sacrificato la natura ai propri interessi – ha commentato a LifeGate Anton Lementuev, editor di Green Think Tank, un gruppo di ricerca che analizza le politiche ambientali ed energetiche della Russia -.

Dal 2022, le leggi ambientali sono state smantellate, il monitoraggio ridotto e la supervisione pubblica eliminata: la protezione dell’ambiente ha di fatto cessato di esistere come priorità dello Stato.

Anton Lementuev

“Ciò sta avvenendo in un contesto caratterizzato da un forte aumento della produzione di rifiuti industriali, frequenti fuoriuscite di petrolio e una crescente segretezza intorno a progetti pericolosi per l’ambiente, ora trattati come questioni di sicurezza nazionale”, prosegue Lementuev.

foreste russia
La Russia è il Paese che ospita la maggiore superficie forestale © zhaubasar/iStockphotos

Gli ecosistemi fondamentali della Russia

Con il suo immenso territorio coperto di foreste, laghi e fiumi, la Federazione Russa svolge un ruolo fondamentale nell’equilibrio dell’ecosistema globale. Le sue aree naturali – dai mari artici alle foreste siberiane – regolano il clima, immagazzinano enormi quantità di carbonio e ospitano una straordinaria biodiversità.

Ma la Russia è anche uno dei principali esportatori di combustibili fossili e produttori di gas serra. Senza un suo impegno concreto per una politica ambientale responsabile, avverte Greenpeace, sarà impossibile contrastare efficacemente la crisi climatica e proteggere la diversità biologica.

E purtroppo le conseguenze delle scelte poco lungimiranti della classe politica, unite ai cambiamenti climatici già in corso, sono già sotto i nostri occhi: si stima che la superficie del permafrost superficiale russo (che rappresenta oltre due terzi del permafrost mondiale) potrebbe ridursi del 22-28 per cento entro il 2050 e del 40-72 per cento entro il 2100, rispetto al periodo 1995-2014. Uno scioglimento che potrebbe accelerare il cambiamento climatico, con effetti devastanti sul Pianeta.

Come sottolinea Greenpeace, l’economia russa – che si basa sullo sfruttamento delle risorse naturali – ha goduto per decenni del sostegno dei governi stranieri e di grandi corporation transnazionali interessate a garantire forniture stabili di petrolio, gas, carbone, metalli e altre materie prime.

La strategia russa per ridurre le emissioni

Secondo Greenpeace, la posizione della Russia nella politica climatica è cambiata radicalmente dagli anni Novanta ad oggi. L’atteggiamento partecipe e costruttivo dimostrato subito dopo il crollo dell’Urss ha ceduto il posto a un ostruzionismo deliberato, sostenuto dalle lobby industriali interne.

Come si legge nel report, “durante la stesura della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) e del Protocollo di Kyoto, la Russia si era presentata come un attore costruttivo. Aveva sostenuto i meccanismi di mercato previsti dal Protocollo di Kyoto, come il commercio delle emissioni, la Joint Implementation (Ji) e il Clean development mechanism (Cdm)”. All’inizio degli anni Duemila, però, questo impegno ha iniziato a indebolirsi.

Rifiuti bruciati
Rifiuti bruciati nelle campagne russe © Getty Images

La Strategia per lo sviluppo a basse emissioni della Russia fino al 2050, pubblicata nel 2021, prevede vari scenari di decarbonizzazione, ma con tempistiche lunghe che vanno oltre il 2035. Il piano inoltre si basa su soluzioni tecnologiche ancora poco sviluppate o inaffidabili nel contesto russo, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Ccs) e il sequestro di CO₂ attraverso le foreste, che hanno però subito gravi danni per via degli incendi e del disboscamento illegale.

Anche nello scenario più ottimistico, scrive Greenpeace, la priorità di Mosca resta la stessa: continuare a esportare petrolio e gas.

L’indebolimento degli attivisti e delle ong

Nonostante i tentativi fatti negli anni Novanta per rafforzare la protezione ambientale a livello istituzionale e ampliare la partecipazione pubblica, la legislazione ambientale negli ultimi decenni si è indebolita, così come si è indebolito il lavoro degli attivisti e delle ong, soffocati dalla stretta repressiva e dall’introduzione della nuova “legge sugli agenti stranieri”: un provvedimento che impedisce alle organizzazioni di operare nel Paese ed espone i loro collaboratori a pesanti conseguenze penali.

“Siamo stati costretti a chiudere il nostro ufficio in Russia e non abbiamo più personale né volontari nel Paese. Pertanto Greenpeace gestisce le attività relative alla Russia dall’estero”, ha spiegato a LifeGate Anna Jerzak, esperta di Greenpeace per l’Europa centrale e orientale.

Collaboriamo con una rete di specialisti di protezione ambientale e attivismo ecologico in modo da poter monitorare i crimini ambientali che avvengono in Russia anche se non siamo più presenti fisicamente nel Paese.

Anna Jerzak

Ad aprile 2025, l’elenco dei cosiddetti “agenti stranieri” comprendeva oltre 1.200 organizzazioni e singoli cittadini. Secondo Greenpeace, negli ultimi tre anni, le autorità russe hanno preso di mira 553 attivisti e organizzazioni ambientaliste. E almeno 110 attivisti ambientali sarebbero stati perseguitati per aver espresso opinioni contrarie alla guerra: la maggior parte di loro ha subito multe o brevi pene detentive; in altri casi, il dissenso ha portato a procedimenti penali, con condanne fino a sei anni di carcere.

Tra i casi di cronaca più emblematici c’è quello del noto attivista per il clima Arshak Makichyan, organizzatore delle manifestazioni Fridays for Future in Russia, che è stato privato della cittadinanza russa insieme alla sua famiglia ed è stato costretto all’esilio.

Arshak Makichyan
Arshak Makichyan © Facebook / Fridays for future

Secondo Amnesty International, lo scopo di questi provvedimenti è quello di isolare le persone politicamente attive in Russia, creando un clima di paura e incertezza che limita la cooperazione tra organizzazioni russe e internazionali.

L’ecologia come forma di ribellione

Tuttavia, nonostante la repressione, l’attivismo ambientale resta una delle poche forme di protesta ancora vive nella Russia contemporanea.

Già prima della guerra, in alcune regioni periferiche erano nati movimenti locali contro discariche, deforestazioni e progetti industriali inquinanti. Oggi, nonostante i rischi, alcuni attivisti continuano la loro battaglia attraverso iniziative di pulizia e tutela del verde urbano e progetti di riciclo.

Non a caso, tra il 2023 e il 2024, le proteste ambientali sono state le più diffuse dopo quelle contro la guerra: segno che la difesa dell’ambiente resta un atto di ribellione importante in un Paese dove è stata soffocata qualsiasi altra forma di dissenso.

“La Russia è precipitata in una sanguinosa economia di guerra, alimentata dai combustibili fossili e dalla propaganda – ha dichiarato Mads Christensen, direttore di Greenpeace International –. Tuttavia, un giornalismo determinato può ancora rompere il silenzio. Ed è proprio per questo che è fondamentale continuare a raccontare la Russia: non solo per svelare la devastazione ambientale causata dalla violenza e dalla corruzione del regime, ma anche per testimoniare che Greenpeace, insieme a milioni di persone, non ha alcuna intenzione di farsi mettere a tacere”.

“La crisi climatica potrà essere contenuta solo se la Russia, con le sue elevate emissioni di CO₂ e i suoi vasti giacimenti, sarà inclusa negli sforzi globali di mitigazione – ha detto Anna Jerzak a LifeGate. Il passaggio dal modello estrattivista e dipendente dai combustibili fossili verso un’economia sostenibile e diversificata è fondamentale non solo per il futuro della Russia, ma anche per la lotta globale contro la crisi climatica”.

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