Dieci anni senza Andy Rocchelli, il fotoreporter italiano ucciso dall’esercito ucraino

Il 24 maggio 2014 Andy Rocchelli veniva ucciso dal fuoco ucraino in Donbass, ma la sua morte non ha mai avuto giustizia. Abbiamo parlato con la madre.

  • Andy Rocchelli è morto nel 2014 sotto il tiro di armi da fuoco leggere, poi di mortaio, nei pressi di Sloviansk.
  • La magistratura italiana ha riconosciuto la responsabilità dell’esercito ucraino senza arrivare a condanne.
  • I buoni rapporti dell’Italia con l’Ucraina filoeuropeista hanno contribuito a inquinare indagini e dibattito.

Sono passati dieci anni da quel maledetto 24 maggio 2014, quando la missione di AndreaAndy’ Rocchelli di raccontare la vita delle popolazioni in guerra veniva interrotta da un terribile agguato. Rocchelli ai tempi aveva 30 anni e dopo diversi lavori in giro per il mondo si era recato in Ucraina, nel Donbass, dove da qualche mese era scoppiato il conflitto tra le forze separatiste filorusse e l’esercito ucraino.

Andy Rocchelli
Il passaporto di Andy Rocchelli

Il fotoreporter aveva capito che stava per succedere qualcosa di grosso, sapeva che non erano semplici scaramucce destinate a concludersi nel breve termine. Immaginava, probabilmente, quello che sarebbe successo otto anni dopo, con l’invasione russa dell’Ucraina. La sua macchina fotografica non ha però potuto documentare questi sviluppi. Andy Rocchelli quel maledetto 24 maggio 2014 veniva ucciso dal fuoco ucraino nei dintorni di Sloviansk. Un agguato, costato la vita anche all’interprete che era con lui, Andrej Mironov. Una doppia esecuzione che non ha mai avuto giustizia e su cui forse non si è mai voluto indagare abbastanza. Perché per l’Italia puntare il dito contro l’Ucraina, l’amica Ucraina invasa dal nemico Vladimir Putin, non è mai stato così scomodo.

Ma come sottolinea a LifeGate Elisa Signori, la madre del fotoreporter italiano, “Il duplice assassinio di Rocchelli e Mironov costituisce un crimine di guerra“.

L’uccisione di Andy Rocchelli

La guerra in Ucraina non è iniziata nel 2022, ma nel 2014. Nel febbraio di quell’anno, dopo i moti di piazza dell’Euromaidan che avevano portato al potere un governo filoeuropeista, i separatisti filorussi avevano dato il via alle prime insurrezioni, occupando la Crimea e poi altre città e province del sud e dell’est, in particolare nella regione del Donbass, auto-proclamando l’indipendenza. Iniziava così un conflitto mai terminato e anzi, estesosi a tutto il paese nel febbraio 2022 con l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo.

Il fotoreporter pavese Andy Rocchelli, 30 anni, nella primavera del 2014 si trovava proprio lì, in Donbass. Cofondatore e membro del collettivo di fotografi Cesura, aveva girato il mondo per raccontare le vite delle popolazioni intrappolate nei conflitti. E nel momento in cui un nuovo conflitto era scoppiato in Europa, era corso in Ucraina per documentarlo. Il 24 maggio 2014, il giorno prima delle elezioni presidenziali indette dal governo ad interim ucraino dopo la decisione dell’ex presidente filorusso Victor Yanukovich di fuggire dal paese, Rocchelli si trovava nei dintorni di Sloviansk assieme all’interprete russo Andrej Mironov, 60 anni, e al fotografo francese William Roguelon, 23 anni.

Il trio era lì in automobile per raccontare le condizioni dei civili che vivevano tra il fuoco dell’esercito ucraino e le postazioni dell’artiglieria separatista filorussa. Durante una sosta sono finiti sotto il tiro di armi da fuoco leggere, poi di mortaio. A perdere la vita sono stati Rocchelli e Mironov, mentre Roguelon è rimasto ferito. Sul sito ucraino Myrotvorec’ sono comparse le loro foto accompagnate dalla scritta in rosso “liquidati”.

Dieci anni senza giustizia

Nel 2016 è stato ritrovato il rullino di Rocchelli, che conteneva le fotografie scattate negli ultimi istanti della sua vita, dal fossato in cui aveva trovato riparo dai colpi dell’esercito ucraino. In quel momento l’indagine della sua morte andava verso l’archiviazione a causa della mancata collaborazione delle autorità ucraine, per questo condannate da un tribunale locale. Ma proprio quelle fotografie, insieme alle testimonianze del collega sopravvissuto Roguelon, hanno permesso alla magistratura italiana di dare una svolta al caso.

Andy Rocchelli e Andrej Mironov
Andy Rocchelli e Andrej Mironov © Cesura

Dagli scatti e dai video è emerso che il gruppo non è stato vittima di colpi vaganti o casuali, ma di un vero e proprio agguato andato avanti per circa 40 minuti. I colpi provenivano dalla collina del Karachun, dove si trovavano appostate le truppe ucraine. E i giornalisti erano riconoscibili perché in abiti civili, sbugiardando l’ipotesi di uno scambio di persona. Le indagini hanno portato al nome di un sospettato, Vitaly Markiv, sergente della Guardia nazionale ucraina. L’uomo ha anche cittadinanza italiana ed è stato arrestato proprio mentre si recava in Italia, nel 2017. Questo mentre le autorità ucraine continuavano a dare la responsabilità della morte dei Rocchelli alle forze separatiste russe, lanciandosi anche in teorie del complotto.

Nel 2018 Vitaly Markiv è stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere per concorso di colpa in omicidio. Per la magistratura italiana non c’è la certezza che sia stato lui a sparare, ma ha avuto comunque un ruolo nell’agguato. Nel 2020 però la sentenza viene ribaltata in appello: la Corte d’Assise di Milano ha assolto Markiv escludendo alcune testimonianze chiave. Lo ha fatto per un vizio procedurale ma, allo stesso tempo, ha confermato un elemento, forse il più importante, per quanto simbolico. A uccidere Rocchelli e Mironov è stato l’esercito ucraino. Nel 2021 la Cassazione ha confermato l’assoluzione, mentre l’anno successivo un’inchiesta di RaiNews ha raccolto la testimonianza di un militare ucraino di stanza sulla collina del Karachun quel 24 maggio 2014. Che conferma sia stato dato ordine di sparare sul gruppo di Rocchelli da Mychajlo Zabrodskyj, oggi vice comandante in capo delle Forze armate di Kiev.

I buoni rapporti Italia-Ucraina

Il processo a carico di Vitaly Markiv ha lasciato parecchi malumori in Italia. Il movimento dei Radicali italiani ha sempre difeso l’uomo accusato di aver ucciso Rocchelli, parlando tra le altre cose di “teorema farlocco” della magistratura. Una linea sposata anche da Emma Bonino e da parte dell’opinione pubblica italiana.

La sensazione è che i buoni rapporti dell’Italia con l’Ucraina filoeuropeista abbiano contribuito a inquinare il dibattito. Un elemento esasperato a partire dal febbraio 2022, con l’invasione russa del paese e l’ulteriore rafforzamento dei rapporti occidentali con Kiev. “L’aggressione di Mosca ha polarizzato in maniera manichea il dibattito pubblico”, sottolineano i genitori di Andy Rocchelli. “La sua vicenda è diventata un tabù, una questione politicamente sconveniente. Siamo convinti, al contrario, che chiedere conto di questo crimine di guerra all’Ucraina, con cui il nostro paese si è schierato e che ambisce a entrare nell’Unione europea, non significhi sostenere Vladimir Putin, bensì praticare una politica estera degna di tale definizione”.

Vitaly Markiv
Proteste contro il processo a carico di Vitaly Markiv, accusato di aver ucciso Andy Rocchelli © STR/NurPhoto via Getty Images

Sono passati dieci anni dall’uccisione di Andy Rocchelli e Andrej Mironov, i “due Andrea”. “La ricerca della giustizia deve continuare”, ha sottolineato Amnesty International in occasione dell’anniversario. Ma come ha detto la mamma di Rocchelli, “oggi per le istituzioni italiane è scomodo dire che a ucciderlo è stato l’esercito ucraino”. Un nuovo processo sembra un miraggio.

Le parole della madre di Rocchelli a LifeGate

“Si tratta di una verità scomoda e poco edificante che solleva il velo sulla narrazione eroica e patriottica della crisi del Donbass, voluta dalle autorità ucraine, e la contraddice”, sottolinea a LifeGate Elisa Signori, madre di Andy Rocchelli. “Il duplice assassinio di Rocchelli e Mironov costituisce un crimine di guerra, altri ce ne furono in quei mesi. Non c’è nulla di patriottico e edificante nello sparare su civili inermi, nel mettere a tacere a colpi di mortaio dei giornalisti”.

Dopo l’assoluzione di Vitaly Markiv, a inizio 2023 la famiglia Rocchelli ha presentato ricorso alla Corte penale internazionale dell’Aja, che l’ha dichiarato ricevibile. L’ultima spiaggia per cercare la verità sulla morte del fotoreport, vista l’immobilità delle autorità italiane e ucraine nelle indagini. “Le relazioni tra stati amici, a maggior ragione nella prospettiva dell’ingresso ucraino nella casa comune europea, devono fondarsi sul reciproco rispetto, sulla lealtà, sull’assunzione delle proprie responsabilità“, continua la madre di Rocchelli. “Dalle autorità ucraine in tutti questi anni ci sono stati solo depistaggi e contronarrazioni autoassolutorie”. Che l’Italia si è fatta andare bene per questioni geopolitiche.

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