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Biova Project, la startup che ricava birra e snack dal pane invenduto, sbarca a Milano e trasforma l’aperitivo meneghino in un rito collettivo antispreco.
Tutti sappiamo che l’industria alimentare genera tonnellate di spreco, ma forse non immaginiamo che ogni giorno nel nostro Paese 1.300 tonnellate di pane vadano invendute. “Ma non viene portata alla mensa dei poveri o in parrocchia?”,vi starete chiedendo. Sì, ma la quantità di pane in giacenza è talmente alta che anche le associazioni caritatevoli a fine giornata si vedono costrette a gestirlo in modo diverso, spesso buttandolo. Possibile non ci sia un modo per trasformare questa enorme quantità di avanzi e dar loro nuovo valore? È quello che si sono domandati Emanuela Barbano e Franco Dipietro, che nel novembre del 2019 fondano Biova Project e decidono di provare a riutilizzare il pane invenduto di gdo e panettieri di quartiere per produrre birra.
Quindi si può ricavare birra dal pane “del giorno prima”? Si, e non è una cosa nuova: lo facevano già gli antichi Egizi, in un’ottica di economia circolare ante litteram. Il sale contenuto nel pane, tra l’altro, rende la birra leggermente sapida e particolarmente dissetante, in più con questo metodo, si ottiene un prodotto sempre diverso, a seconda del tipo di impasto e delle peculiarità geografiche della materia prima.
Nel concreto, Biova Project recupera il pane in eccedenza della grande distribuzione o delle piccole realtà locali e grazie a esso riesce a sostituire fino al 30 per cento del malto d’orzo che solitamente viene utilizzato per produrre la birra. In termini di sostenibilità è un vantaggio importante perché il malto è una materia prima ad altissimi costi energetici, a partire da quelli per coltivarlo e irrigarlo fino a quelli di trasporto e impacchettamento. Allungando il ciclo di vita del pane si va recuperare una fonte di energia vera e propria, soprattutto di zuccheri, che altrimenti andrebbe sprecata. Ovviamente il pane una volta ritirato deve essere trasformato e conservato prima di poter diventare birra, ma è un processo a filiera molto corta, che avviene in piccoli laboratori localizzati sul territorio. In questo modo Biova Project produce circa 2.500 litri di birra premium ogni 150 chilogrammi di pane, risparmiando 1.365 chili di emissioni di CO2. Ma non è finita qui, perché il malto d’orzo utilizzato per la birra, ricco di proteine, fibre e sali minerali, ma povero di zuccheri, non diventa materiale di scarto, ma viene trasformato in Ri-Snack: croccanti triangolini di malto d’orzo sani e non fritti, perfetti per l’aperitivo. Non si butta via (quasi) nulla insomma.
E anche per i canali di fornitura originali il progetto è assolutamente winwin: sono proprio loro, alla fine, a mettere sugli scaffali la birra ottenuta con il loro stesso invenduto, brandizzata nel caso della gdo, oppure con un’indicazione geografica che rimanda al quartiere o alla regione nel caso dei piccoli artigiani. Biova Project produce infatti una serie di birre legate al territorio: la prima, in omaggio alla città in cui è nato il progetto, è stata realizzata con il pane prodotto dai piccoli produttori del quartiere torinese di San Salvario, per poi passare a quelli di Bergamo, Como, della Liguria, della Campania e del Veneto.
E ora Biova Project sbarca a Milano, con tre referenze che si rifanno ai colori di tre linee della metropolitana meneghina: la Rossa, la Verde e la Gialla. L’obiettivo è quello di spingere i milanesi a ripensare il loro rito sacro per eccellenza, ovvero l’aperitivo, in termini sostenibili, grazie a birra e snack ottenuti dal recupero di eccedenze alimentari che altrimenti andrebbero buttate.
Biova Milano è stata realizzata insieme all’Associazione panificatori di Milano e provincia e il pane è stato raccolto da alcuni dei loro associati. I nomi dei panettieri che hanno fornito il pane sono visibili attraverso il qr code presente sulle lattine.
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