Investimenti sostenibili

Le banche americane seguono Trump e continuano a finanziare il carbone. Nonostante le promesse

Con l’Accordo di Parigi, le banche americane avevano promesso di tagliare i fondi alle miniere di carbone. Ma i numeri dipingono una realtà ben diversa.

Se il presidente degli Usa Donald Trump punta tutto sul carbone, le grandi banche statunitensi non si fanno attendere e riprendono a erogare finanziamenti a pioggia per le miniere. E dire che, quando a dicembre 2015 era stato siglato l’Accordo di Parigi sul clima, avevano messo nero su bianco il loro impegno a procedere nella direzione opposta. La dura denuncia arriva da un nuovo report pubblicato dalla ong Rainforest Action Network (Ran).

Cosa hanno promesso le banche americane

Facciamo un passo indietro e torniamo al periodo compreso tra maggio 2015 e marzo 2016. All’epoca, le sei più grandi banche americane avevano adottato delle nuove regolamentazioni interne per ridurre i loro finanziamenti all’industria delle miniere di carbone. I colossi bancari in questione sono Bank of America, Citigroup, Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Morgan Stanley e Wells Fargo. Con modalità e obiettivi diversi, gli istituti volevano così dimostrare il proprio impegno per la transizione energetica sancita dall’Accordo di Parigi.

Da allora, da parte loro non ci sono state comunicazioni ufficiali sui risultati raggiunti. Ci ha pensato quindi Rainforest Action Network a prendere in mano i numeri e arrivare a una stima di due diversi indicatori.

Il primo è la loro esposizione creditizia nei confronti delle cinquanta più importanti compagnie minerarie. Con quest’espressione si intende il totale del credito che una banca ha prestato a un solo soggetto, mettendosi a rischio di perdite in caso di fallimento di quest’ultimo; ci si può tutelare da questo rischio comprando alcuni specifici strumenti finanziari.

Il secondo indicatore esaminato dal rapporto è il volume totale dei finanziamenti concessi a queste cinquanta società.

Le promesse vengono smentite dai numeri

Sulla carta, è tutto nella norma. Cinque banche avevano sancito un impegno preciso sull’esposizione creditizia (fa eccezione solo Goldman Sachs) e tutte loro, alla data del 30 giugno 2018, avevano rispettato la promessa.

Tra il 2015 e il 2016, anche i finanziamenti concessi sotto varie forme alle cinquanta società minerarie erano effettivamente diminuiti: la più “timida” era stata Citi, con un -18 per cento, ma Bank of America aveva stupito tutti con un -92 per cento.

Da quando Donald Trump è stato eletto alla presidenza degli Stati Uniti, però, le cose sono cambiate. Nel 2017 le banche sono tornate a elargire denaro a pioggia alle compagnie minerarie. Se Citi si limita a un +16 per cento, JPMorgan Chase ha incrementato il volume di finanziamenti del 3.014 per cento nell’arco di un solo anno. La cosa paradossale è che tutto questo è avvenuto senza violare, almeno formalmente, gli impegni presi. Secondo Ran, questi numeri mettono in luce una realtà inequivocabile: le politiche adottate dopo l’Accordo di Parigi sono ancora troppo deboli e vanno sottoposte a una revisione radicale.

Presidente Donald Trump
Donald Trump annuncia il suo piano a favore dell’industria del carbone © Mark Wilson/Getty Images

Trump vuole riportare in auge il carbone, costi quel che costi

Purtroppo, le grandi banche americane non sono isolate. Anzi, in un certo senso non stanno facendo altro che seguire la linea dettata dal loro presidente. Con il piano Affordable clean energy, Donald Trump ha cancellato con un colpo di spugna tutti i progressi fatti dal suo predecessore Barack Obama, lasciando a ogni singolo stato la facoltà di stabilire le regole sulle centrali a carbone e sulle emissioni consentite. Così facendo, numerose centrali vecchie e inquinanti potranno continuare a operare senza nemmeno dover adeguare le proprie tecnologie.

Leggi anche: A tutto carbone. Il nuovo piano energetico di Trump potrebbe causare 1000 morti l’anno

L’industria del carbone, secondo la nuova amministrazione a stelle e strisce, va quindi tutelata ad ogni costo. Anche se entra in gioco il costo più importante, quello da pagare in termini di vite umane. L’Epa (agenzia americana per l’ambiente) stima che, da qui al 2030, l’aumento delle emissioni di polveri sottile causerà dalle 470 alle 1.400 morti premature ogni anno.

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