
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
Oltre 2.500 miliardi di euro: sono i soldi che le grandi banche hanno iniettato nel settore delle fonti fossili dalla firma dell’Accordo di Parigi al 2019.
“Oggi il mondo è unito nella lotta contro i cambiamenti climatici. Oggi il mondo ha un’ancora di salvezza, un’ultima opportunità di consegnare alle generazioni future un mondo più stabile, un pianeta più sano, società più eque e economie più prospere”. Era il 12 dicembre 2015 e l’allora presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker accoglieva con queste parole la firma dell’Accordo di Parigi sul clima. A quattro anni e mezzo di distanza, però, i fatti raccontano una storia ben diversa. Il flusso di denaro verso i combustibili fossili, invece di diminuire, tocca nuove vette: 35 grandi banche hanno investito oltre 2.500 miliardi di euro dal 2016 al 2019. Questa cifra clamorosa arriva dall’edizione 2020 dello studio Banking on climate change, redatto da Rainforest action network, Banktrack, Indigenous environmental network, Oil change international, Honor the earth e Sierra club.
Nel 2016 gli ambientalisti avevano tirato un sospiro di sollievo nel notare che, per la prima volta, i finanziamenti alle fonti fossili avevano segnato un calo del 22 per cento anno su anno. Ma evidentemente l’influsso dell’Accordo di Parigi è stato solo momentaneo. Nel 2017 gli investimenti sono tornati a salire, per poi sfondare il muro dei 1.700 miliardi di euro nel periodo 2016-2018. È passato un altro anno e il totale è arrivato a 2.500 miliardi, smistati tra 2.100 aziende che operano nel comparto del carbone, del gas naturale e del petrolio. Facendo a pugni contro ogni promessa di un futuro più verde, ben 900 miliardi di euro sono stati indirizzati verso i nuovi progetti estrattivi e le infrastrutture a essi collegate, con un +40 per cento tra il 2018 e il 2019.
Le banche più fossili sono senza dubbio quelle americane. Il 30 per cento dei finanziamenti totali infatti arriva da un ristretto club di cui fanno parte JPMorgan Chase, Wells Fargo, Citi e Bank of America. A dominare la classifica è JPMorgan Chase, che sfiora i 250 miliardi di euro ed è il primo investitore in assoluto nei nuovi progetti estrattivi, nel fracking (la fratturazione idraulica delle rocce di scisto per estrarre petrolio e gas naturale) e nelle trivellazioni offshore e nell’Artico. È anche l’unico istituto di credito non canadese che figura nella top five dei finanziatori delle sabbie bituminose, un comparto talmente controverso da essere stato abbandonato da numerose banche europee.
How can we get a real #EuropeanGreenDeal when the continent’s biggest banks continue to finance climate breakdown and planetary ecocide? #FossilBanksNoThanks RT if you agree. And see latest #BankingonClimateChange: Fossil Fuel Finance Report Card 2020 https://t.co/Eunz4BGKxZ pic.twitter.com/X2673RqIHp
— BankTrack (@BankTrack) March 18, 2020
Proprio le realtà del Vecchio Continente sono mediamente più virtuose delle altre, ma possono ancora migliorare. Osservata speciale è Barclays, che tra il 2016 e il 2019 ha stanziato circa 110 miliardi di euro per le fossili. Bnp Paribas è stata una pioniera nello stop ai finanziamenti a gas e petrolio non convenzionali, ma ha comunque erogato 78 miliardi per i combustibili fossili; vale un discorso simile per la connazionale Crédit Agricole, molto rigida sul carbone ma generosa con i nuovi progetti estrattivi. Buone notizie invece da Rbs, che nel 2019 ha dato una netta sforbiciata ai finanziamenti alle energie più “sporche” e ha posto ulteriori paletti a febbraio 2020. Il colossale green deal europeo, con cui la Commissione promette di mobilitare mille miliardi di euro in dieci anni, imporrà di adottare politiche ancora più incisive.
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
Il World economic forum 2020 punta sulla sostenibilità, ma per Greenpeace sconta una contraddizione: le banche presenti finanziano ancora carbone e petrolio
Lo sponsor di Roger Federer è una banca che finanzia i combustibili fossili. Finito nel mirino degli ambientalisti, il campione promette di intervenire.
La banca centrale inglese introdurrà gli stress test climatici, per capire se banche e assicurazioni siano in grado di reggere agli shock ambientali.
Rispettare l’Accordo di Parigi e favorire gli investimenti per il clima. Secondo centinaia di investitori, queste devono diventare le priorità dei governi.
Dalla fine del 2021, la Banca europea per gli investimenti non finanzierà più carbone, petrolio e gas naturale. Una svolta storica, molto attesa da istituzioni e società civile.
Solo il 9 per cento delle aziende più inquinanti ha fissato obiettivi coerenti con l’Accordo di Parigi. I loro azionisti avvertono: “Non è abbastanza”.
Il più grande sistema di università pubbliche d’America ha deciso di sbarazzarsi dagli investimenti in carbone e petrolio: sono un rischio, anche economico.
I rinoceronti neri sono in pericolo, ma si fatica a trovare risorse per i costosi progetti di salvaguardia. Allora entra in gioco un’assoluta novità nel mondo della finanza: il bond rinoceronte.