Cosa prevede il piano da mille miliardi di euro per finanziare il green deal europeo

Mille miliardi di euro in dieci anni, per azzerare l’impatto climatico dell’Europa entro il 2050. È la promessa della Commissione di Ursula von der Leyen.

Costruire un futuro verde e sostenibile è una missione colossale, che impone di ripensare (da zero o quasi) interi settori economici. Per questo, da quando la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato che avrebbe incentrato il proprio mandato sull’ambizioso green deal europeo, l’interesse della stampa e degli osservatori si è subito focalizzato sul versante economico. Dove – e come –  trovare i soldi per ridurre del 40 per cento le emissioni di CO2 nei prossimi dieci anni (o del 50-55 per cento, come chiedono rispettivamente Commissione e Parlamento)? E, soprattutto, per azzerare l’impatto climatico dell’Europa entro il 2050, stabilendo un primato storico? La risposta è arrivata il 14 gennaio, quando la Commissione ha svelato gli attesissimi dettagli del piano di investimenti per la transizione verde dell’Unione. Un piano da mille miliardi di euro.

Ursula von der Leyen
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen © Omer Messinger/Getty Images

Quanti soldi verranno stanziati per il green deal europeo e da chi

La prima cosa da chiarire è che il piano prevede di mobilitare almeno mille miliardi di euro di investimenti sostenibili nell’arco dei prossimi dieci anni. Ciò non vuol dire, quindi, che l’Unione spenderà in prima persona l’intera cifra.

Dal bilancio dell’Ue per il settennato 2021-2027 si stima che arrivino circa 503 miliardi di dollari. La Commissione infatti ha proposto di destinarne il 25 per cento a una serie di programmi che in un modo o nell’altro risultano funzionali al green deal europeo (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, Fondo europeo per lo sviluppo regionale, Fondi strutturali, Horizon Europe e fondi Life). È come dire che, ogni quattro euro che usciranno dal portafoglio dell’Unione, uno sarà “sostenibile”: una quota di spesa pubblica che non ha precedenti nel mondo, e che secondo i piani innescherà un co-finanziamento pari a 114 miliardi di euro da parte dei governi nazionali.

Banca europea per gli investimenti
La sede della Banca europea per gli investimenti © Bei

Un ruolo fondamentale spetterà a InvestEU, un nuovo programma comunitario che sostiene gli investimenti e l’accesso ai finanziamenti, sempre nel periodo 2021-2027. È l’erede naturale del Feis, che era stato istituito all’indomani della crisi finanziaria globale per ridare vigore a un’economia asfittica. Di fatto, InvestEU fornirà alla Banca europea per gli investimenti e ad altri partner le garanzie necessarie a sostenere progetti pionieristici, stimolando altri investitori privati a fare lo stesso. Da qui dovrebbero arrivare altri 279 miliardi, pubblici e privati, tra il 2021 e il 2030.

Infine ci sono i 50 miliardi derivanti dai fondi per l’innovazione e la modernizzazione, che escono dal perimetro del bilancio dell’Ue perché sono finanziati con una parte dei proventi del sistema di scambio delle emissioni.

Il meccanismo per una transizione giusta

Merita un capitolo a parte il meccanismo per una transizione giusta, che vuole assicurare che questa rivoluzione verde “avvenga in modo equo e non lasci indietro nessuno”. Se è vero infatti che alcuni stati sono già delle eccellenze, altre economie dipendono ancora in modo strutturale dai combustibili fossili, carbone in primis. Limitarsi a “spegnere” l’intero comparto da un giorno all’altro le farebbe sprofondare, e a pagare il prezzo più pesante sarebbero i lavoratori e le fasce più deboli della popolazione. Da qui l’idea di mobilitare almeno 100 miliardi di investimenti tra il 2021 e il 2027, che diventeranno 143 in dieci anni.

Questo meccanismo sarà costituito da tre pilastri. Il primo è quello dei soldi pubblici veri e propri, cioè i 7,5 miliardi del Fondo per una transizione giusta. Ogni Stato membro dovrà proporre all’Europa una lista di territori che, a suo parere, hanno bisogno di essere accompagnati in questo percorso. Una volta ricevute le risorse, dovrà poi impegnarsi a stanziarne altrettante, attingendo al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale europeo plus e alle casse dello stato. Così facendo si raggiungerà un totale di 30-50 miliardi di euro, che ne mobiliteranno altri.

L’Ansa, entrata in possesso delle tabelle che sono state inviate agli ambasciatori, sostiene che l’Italia riceverà 360 milioni di euro, ma dovrà versarne circa 900 per alimentare il fondo. Lo stesso ruolo spetta a Germania (che verserà 1,5 miliardi e riceverà 877 milioni) e Francia (1,1 miliardi spesi, 402 milioni ricevuti). Beneficiaria netta, invece, un’economia prettamente carbonifera come la Polonia, che da sola potrebbe incassare circa 2 miliardi. Sulle caratteristiche del fondo, sottolinea però l’Ansa, non è ancora detta l’ultima parola: dovranno esprimersi anche il Parlamento europeo e gli stati nazionali. Di sicuro ci sarà parecchio da discutere, sottolinea l’Agi: con ogni probabilità, Francia, Repubblica Ceca e Ungheria premeranno affinché si annoveri il nucleare tra le energie “pulite”.

polonia carbone
Una miniera di carbone in Polonia © Sean Gallup/Getty Images

Gli altri due pilastri sono rappresentati da InvestEU e dalla Banca europea per gli investimenti, che puntano a mobilitare rispettivamente 45 miliardi e 25-30 miliardi di capitali privati.

Ma che fine faranno, concretamente, questi soldi? L’Unione promette di indirizzarne una buona parte ai cittadini che, tra le altre cose, dovranno rinfrescare le proprie competenze (o acquisirne altre) per trovare nuove opportunità lavorative. Ma anche le aziende avranno bisogno di sostegno per riconvertirsi, innovare le proprie tecnologie, fare ricerca, attirare nuovi capitali; tutti passaggi indispensabili per abbassare il proprio impatto ambientale e slegarsi dai combustibili fossili. Un’altra quota andrà a Stati e regioni, chiamate a migliorare i trasporti, le infrastrutture, il sistema energetico, le reti digitali e così via.

green deal europeo
Il meccanismo del green deal europeo © Commissione europea

Si avvicina l’addio all’austerity?

Considerato che fino a ieri il leitmotiv era quello dell’austerità, cioè dei tagli orizzontali alla spesa pubblica, questo “nuovo corso” appare rivoluzionario. Ma, nel dare l’annuncio, la Commissione mette bene in chiaro che il cammino sarà ancora lungo e accidentato. “La transizione verso un’economia sostenibile comporta sforzi notevoli sul fronte degli investimenti in tutti i settori: per raggiungere gli attuali obiettivi 2030 in materia di clima ed energia saranno necessari investimenti aggiuntivi pari a 260 miliardi di euro l’anno fino al 2030”, scrive, sottolineando come sia fondamentale il contributo proattivo da parte di tutti gli attori coinvolti.

I primi della lista, ovviamente, sono gli stati. Pur di incoraggiarli a investire nella transizione verde, suggeriscono alcune analisi, Bruxelles potrebbe ammorbidire alcune sue posizioni che fino a oggi sono apparse incrollabili. Un’opzione plausibile è quella di rendere meno severa la norma sugli aiuti di stato alle industrie. In alternativa, potrebbero essere previste deroghe ad hoc al parametro di Maastricht, che impone il tetto massimo del 3 per cento del disavanzo pubblico annuale sul pil.

Ha fatto accenno a queste ipotesi anche il commissario all’Economia, l’italiano Paolo Gentiloni. “La prossima revisione delle nostre regole di bilancio includerà un riferimento agli investimenti pubblici sostenibili nel contesto della qualità della finanza pubblica”, ha spiegato in conferenza stampa. “Vedremo il dibattito dopo la comunicazione su come trattare gli investimenti sostenibili all’interno delle regole di bilancio Ue, preservando naturalmente le salvaguardie contro i rischi per la sostenibilità del debito”.

Le parole di Ursula von der Leyen

“Al centro del green deal europeo, che racchiude la nostra visione per un’Europa climate neutral entro il 2050, ci sono le persone. La trasformazione che ci si prospetta è senza precedenti e avrà successo solo se è giusta e va a beneficio di tutti. Sosterremo le popolazioni e le regioni chiamate a compiere gli sforzi maggiori affinché nessuno sia lasciato indietro – ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen –. Il green deal comporta un ingente fabbisogno di investimenti, che trasformeremo in opportunità di investimento. Il piano presentato oggi, finalizzato a mobilitare almeno mille miliardi di euro, indicherà la rotta da seguire e provocherà un’ondata di investimenti verdi.”

Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il green deal europeo, ha puntato l’attenzione soprattutto sul meccanismo per una transizione giusta, che nelle sue parole “aiuterà chi ne ha più bisogno, rendendo più attraenti gli investimenti e proponendo un pacchetto di sostegno pratico e finanziario del valore di almeno cento miliardi di euro. È così che ci impegniamo a perseguire la solidarietà e l’equità.”

Il commento della rappresentanza a Milano della Commissione europea

Ottimista anche Massimo Gaudina, Capo della Rappresentanza a Milano della Commissione europea. “Un’azione concreta per contrastare l’emergenza climatica: è quello che serve al mondo, ed è quello che gli europei ci chiedono”, commenta, contattato da LifeGate. “L’Europa è già oggi il continente più avanzato in questo campo e con il Green Deal vuole diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Questo costituisce contemporaneamente la sfida e l’opportunità più grandi del nostro tempo. Significa sviluppare fonti di energia più pulite e tecnologie verdi che ci consentiranno di produrre, viaggiare, consumare e vivere rispettando di più l’ambiente. Significa inoltre sviluppare un’economia realmente circolare e proteggere la biodiversità. La transizione verde deve essere inclusiva: grazie ad appositi strumenti e meccanismi finanziari, nessun individuo e nessuna regione dovranno essere lasciati indietro”.

Cosa ne pensa Legambiente

Ma qual è stata l’accoglienza da parte delle associazioni ambientaliste? Risponde Mauro Albrizio, che dirige l’ufficio europeo di Legambiente: “Il nostro giudizio è positivo, ma finora la Commissione ha definito un orizzonte politico, che va tradotto in azioni e proposte legislative con impegni concreti. Centrale sarà la climate law, attesa per la fine di febbraio. Per la prima volta l’Europa si doterà di una normativa quadro sul clima, per rendere legalmente vincolante l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050 e ridefinire la governance della politica climatica ed energetica”. Anche il meccanismo per una transizione giusta – sottolinea – si allaccia al negoziato sul bilancio pluriennale, che è ancora in corso.

Insomma, d’ora in poi dovranno entrare in gioco “politiche climatiche, energetiche, ambientali, sociali, economiche e finanziarie. Prepariamoci a un notevole confronto-scontro politico, a livello europeo e nazionale, che richiederà una forte mobilitazione”. E a portare avanti questa mobilitazione ci pensa anche Legambiente, l’unica associazione ambientalista nazionale a insediare un ufficio a Bruxelles, con un duplice intento: “Da un lato, dare forza al nostro operato in Europa, stabilendo un rapporto diretto con i nostri rappresentanti e vigilando su ciò che il governo italiano fa a Bruxelles. Dall’altro lato, integrare la dimensione comunitaria nel nostro agire quotidiano”.

Alexandria Ocasio-Cortez e il senatore Ed Markey presentano a Washington il Green new deal © Alex Wong/Getty Images
Alexandria Ocasio-Cortez e il senatore Ed Markey presentano a Washington il Green new deal © Alex Wong/Getty Images

Anche Oltreoceano si parla di green new deal

Se fino a qualche tempo lo sviluppo economico appariva inevitabilmente in contrasto con la tutela dell’ambiente, negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che le due cose possono – anzi, devono – andare a braccetto. Anche negli Usa di Donald Trump si parla di green new deal, grazie alla proposta presentata all’inizio del 2019 dalla parlamentare più giovane della storia, Alexandria Ocasio-Cortez, insieme al senatore Ed Markey.

L’obiettivo finale è quello di rendere gli Usa neutrali a livello climatico nell’arco dei prossimi dieci anni. Ciò significa, tra le altre cose, coprire il 100 per cento del fabbisogno federale di energia con le fonti pulite, rinnovare le infrastrutture e i trasporti, compensare parte delle emissioni con i programmi di riforestazione. Tutto questo con un forte focus sulla creazione di nuovi posti di lavoro e sull’appianamento delle disuguaglianze che spaccano in due la società.

Per ora si tratta soltanto di un testo non vincolante che non ha avuto vita facile, visto che l’orientamento ufficiale dell’amministrazione americana va in una direzione completamente opposta. Ma senza dubbio il green new deal ha fatto parlare di sé, e sarà uno dei temi caldi per le prossime elezioni di novembre 2020.

 

Foto in apertura © Arno Mikkor / Flickr

 

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