Il Living planet report del Wwf testimonia che la crisi della biodiversità è reale e intrecciata alla crisi climatica. Ma possiamo invertire la rotta.
Perché ce ne frega, eccome, della battaglia contro la diga di Belo Monte
Il complesso idroelettrico di Belo Monte, Brasile, è stato approvato nel 2005 sebbene le analisi di impatto ambientale obbligatorie per legge e le consultazioni con le popolazioni coinvolte non siano state effettuate. Il pubblico ministero brasiliano ha deliberato più e più volte l’incostituzionalità dell’autorizzazione. Tuttavia, dopo un decennio di tentativi legali per bloccarlo, di occupazioni, scioperi
Il complesso idroelettrico di Belo Monte, Brasile, è stato approvato nel 2005 sebbene le analisi di impatto ambientale obbligatorie per legge e le consultazioni con le popolazioni coinvolte non siano state effettuate. Il pubblico ministero brasiliano ha deliberato più e più volte l’incostituzionalità dell’autorizzazione. Tuttavia, dopo un decennio di tentativi legali per bloccarlo, di occupazioni, scioperi e violenze, Belo Monte inizierà a produrre energia a novembre.
I fatti. La diga di Belo Monte si trova sul fiume Xingu, principale affluente del Rio delle Amazzoni, e sarà la terza centrale idroelettrica più grande al mondo. Ha avuto ripercussioni su 25mila indigeni appartenenti a 18 gruppi etnici. La sua costruzione è stata principalmente finanziata dalla Bndes, la banca pubblica per lo sviluppo del Brasile. Secondo Norte Energia, il consorzio che ha in carico la costruzione della diga, Belo Monte fornirà energia a 60 milioni di persone.
Degrado ambientale. Il governo brasiliano sostiene che le centrali idroelettriche producono energia sostenibile. Eppure, in Brasile la deforestazione è in aumento, anche a causa degli sviluppi infrastrutturali nella regione amazzonica come, appunto, Belo Monte, che sommergerà 516 chilometri quadrati di foresta pluviale. La deviazione dell’80 per cento del fiume Xingu ha già compromesso la qualità dell’acqua e decimato la biodiversità ittica, cambiando drasticamente la vita delle comunità indigene.
Inoltre, la portata del fiume cambia in base alla stagione. La diga funzionerà quindi a una media annuale del 40 per cento del suo potenziale totale, ovvero 11mila megawatt. Data la sua inefficienza, altre dighe (quattro, secondo i piani del governo) saranno costruite a monte per alimentare Belo Monte durante tutto l’anno.
Violazioni dei diritti umani. Le comunità indigene, il pubblico ministero brasiliano e l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) sono tutti d’accordo nel denunciare che il governo non ha osservato il diritto di consenso libero, prioritario e informato delle comunità indigene. Questo prevede che le popolazioni vengano consultate su tutte le questioni che le coinvolgono ed è sancito dalla costituzione brasiliana, dalla Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite a dalla Convenzione 169 dell’Ilo, di cui il Brasile è firmatario.
La Suspensão de segurança (sospensione di sicurezza), meccanismo legale risalente alla dittatura militare del Brasile, ha conferito il potere arbitrario di ignorare le sentenze giudiziarie contro Belo Monte. Inoltre, il pubblico ministero brasiliano ha accusato il governo di aver violato 55 termini del contratto stipulato con duemila famiglie (per lo più indigene), che si sono viste sfrattare con la forza.
Mentre migliaia di persone vengono cacciate, altre arrivano in massa. Infatti, dal 2011 si sono verificate ondate di migranti per lavorare alla costruzione della diga, ingigantendo la popolazione della città più vicina, Altamira, del 150 per cento. Ne sono conseguiti il sovraccarico dei servizi, la criminalità e la disgregazione culturale. L’eccessivo numero di lavoratori ha portato molti a ricorrere alla deforestazione illegale e allo sfruttamento del bestiame, due delle principali cause della deforestazione dell’Amazzonia.
Perché la battaglia è ancora aperta. Sebbene sia troppo tardi per fermare la diga di Belo Monte, il Brasile ha ancora tempo per intraprendere uno sviluppo sostenibile. Gli altri progetti di costruzione di mega infrastrutture in Amazzonia devono essere fermati, ad esempio il piano di costruzione di più di cento dighe sul fiume Tapajós. La crescente attività mineraria, alimentata dalle dighe come Belo Monte, è un’ulteriore piaga che deve essere arginata.
Dal letame nascono i fiori. Così, dozzine di centrali idroelettriche, che funzionano al di sotto delle proprie capacità a causa della siccità che sta colpendo il Brasile saranno trasformate in parchi solari. Nonostante la presidente del Brasile Dilma Rousseff si sia mostrata in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici (vedi il recente accordo preso con Barack Obama), rimane da vedere se rispetterà questo ruolo anche a casa. Se si opporrà alla diga di Tapajós e alle attività minerarie in Amazzonia, solo allora crederemo che non si tratta di una mera mossa di facciata.
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