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Un giudice federale del Brasile ha accolto il ricorso di alcuni psicologi che chiedevano di poter “trattare” i pazienti omosessuali per “riorientarli”.
Gli psicologi in Brasile potranno tornare a proporre delle “terapie di riorientamento sessuale” alle persone gay. La decisione, che ha scatenato un vespaio di polemiche nella nazione latino-americana è arrivata da un giudice federale di Brasilia, Waldemar de Carvalho, secondo il quale “non si può impedire ad un professionista di proporre delle terapie ai cittadini omosessuali, qualora questi lo desiderino”.
È stato, in effetti, proprio un gruppo di psicologi a rivolgersi al tribunale per chiedere di poter non applicare quanto contenuto in una norma approvata in Brasile nel 1999, che ha appunto vietava le “cure” che puntano a orientare in senso eterosessuale i pazienti. Il dibattito – anche da un punto di vista scientifico – sembrava d’altra parte essere stato archiviato ormai da tempo: basti pensare che l’Organizzazione mondiale della sanità ha ritirato l’omosessualità dall’elenco delle malattie ufficialmente riconosciute quasi trent’anni fa, nel lontano 1990.
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Il giudice, tuttavia, ha deciso di accogliere la richiesta, nonostante il Consiglio nazionale di Psicologia avesse fornito un parere contrario. L’organismo ha infatti annunciato che presenterà ricorso, dal momento che a suo avviso la decisione viola i diritti umani e “riporta il Brasile al medioevo”. Inoltre, lo stesso Consiglio – come riportato dall’emittente radiofonica francese France Info – ha sottolineato come “in molti casi non siano i pazienti a domandare questo tipo di trattamenti bensì i familiari”.
In Brasile, infatti, la questione dell’omosessualità appare ancora ampiamente irrisolta. Secondo l’organizzazione non governativa Grupo Gay da Bahia (Ggb), che effettua ogni anno un censimento degli omicidi a sfondo omofobo, si sono registrati 117 assassini solamente nei primi quattro mesi del 2017. Già nel 2016 sono state 343 le persone uccise per via del proprio orientamento sessuale: quasi una al giorno, qualcosa a cui si stenta a credere.
“Il problema è che in Brasile non esistono leggi che puniscano l’omofobia. E l’impunità rafforza la violenza quotidiana, banalizzando questo genere di crimini”, ha spiegato Genilson Coutinho, membro del Ggb, parlando all’agenzia di stampa Agencia Brasil. Anche l’ong Transgender Europe indica il Brasile come il paese più pericoloso per la comunità lgbt: tra il 2008 ed il 2016 gli omicidi sono stati 900, su un totale di 2.264 recensiti nel mondo intero.
La decisione del tribunale federale ha suscitato anche la reazione di alcune personalità della nazione sudamericana: Ivete Sangolo, una delle più celebri cantanti brasiliane, ha scritto su Instagram: “I malati sono quelli che credono in questa grande assurdità”.
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