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In Italia i cacciatori stanno gradualmente scomparendo e rappresentano ormai meno dell’1 per cento della popolazione. Ce lo dicono le cifre della storia della caccia in Italia.
La caccia, insieme all’antropizzazione e alla perdita di habitat, rappresenta una seria minaccia per la biodiversità (e per i cittadini) del nostro Paese. Nel corso della storia diverse specie si sono estinte anche a causa della pressione venatoria, oggi però ad essere a rischio di estinzione sono i cacciatori.
Il numero dei cacciatori italiani è in costante diminuzione. Attualmente i cacciatori sono circa 700mila e rappresentano poco più dell’uno per cento della popolazione, inoltre, in base ai sondaggi, otto italiani su dieci vogliono abolire la caccia. Secondo i dati dell’Istat e di Federcaccia nel 1980 i cacciatori erano 1.701.853, il 3 per cento dell’allora popolazione italiana, nel 1990 sarebbero diventati 1.446.935, ancora più consistente il calo registrato nel decennio successivo, nel 2000 si è infatti passati a 801.835 cacciatori. Tra il 1980 e il 2002 i cacciatori italiani sono passati da 1.700.000 a 730.000, una diminuzione del 56 per cento circa. Un declino inarrestabile. Sono 579.252 licenze di caccia che sarebbero state rilasciate nel 2016 contro i 751.876 titolari del 2007. Tra queste, poi, bisognerebbe capire quali realmente afferenti alla scelta di andare a caccia. Si sospetta che alcune di queste licenze vengano impiegate per fini sportivi o addirittura per difesa personale.
Inoltre, stanno invecchiando. Contrariamente al loro numero l’età media dei cacciatori è in aumento (si aggira tra i 65 e i 78 anni).
Il primo storico referendum contro la caccia avvenne il 3/4 giugno 1990. Nonostante la maggior parte degli italiani si schierò contro la caccia il referendum non raggiuse il quorum necessario per consentirne l’applicazione, anche a causa dell’invito a disertare le urne effettuato da quasi tutti i partiti politici. Votò il 43,4 per cento della popolazione e il 92,2 per cento dei cittadini votò contro la caccia. A venticinque anni dallo storico referendum i Radicali hanno realizzato una nuova proposta di legge per la riforma organica dell’attività venatoria in Italia e lanciato la campagna #Scacciamoli.
Per quanto possa sembrare assurdo in Italia una persona armata ha più diritti di una pacifica. L’articolo 842 del Codice Civile permette infatti ai cacciatori di accedere ai fondi privati a prescindere dalla volontà del proprietario. Per impedire questa violazione il proprietario è costretto ad erigere una recinzione nelle misure previste dalla legge. “Una delle principali cause di avversione degli italiani alla caccia risiede in un assurdo articolo del Codice Civile che, introdotto nella legislazione nel 1942 per favorire la preparazione bellica degli italiani allora in guerra, autorizza i soli cacciatori a entrare nei terreni altrui senza il consenso dei proprietari”, ha dichiarato Fulco Pratesi, fondatore del Wwf Italia.
Si stima che annualmente in Italia nel corso della stagione venatoria vengano uccisi 150 milioni di animali. Mancano però dati attendibili sugli animali abbattuti ogni anno, è quindi impossibile capire se la caccia può essere considerata “sostenibile” secondo i parametri nazionali, europei e internazionali. Più chiari, ma sottostimati, sono invece i dati relativi alle persone uccise e ferite dai cacciatori che fanno della caccia un gravissimo problema di pubblica sicurezza. Dal 2007 ad oggi sono morte oltre mille persone, secondo l’Associazione per le vittime della caccia, mentre la stagione venatoria in corso ha causato 15 morti e 57 feriti (tra cui 13 non cacciatori e due minorenni). Numeri che non giustificano nella maniera più assoluta questo “hobby” obsoleto e violento.
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