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Lo stato africano, secondo quanto riferito dall’agenzia nazionale per la conservazione, ha messo al bando tutte le forme di caccia alla fauna selvatica.
Il Sudan del sud è il più giovane stato al mondo, nato nel 2011 quando ottenne l’indipendenza grazie ad un referendum, dopo oltre venti anni di guerriglia. I conflitti non si sono però sopiti con la separazione dal nord del Paese, sia a causa della non facile convivenza tra le oltre sessanta diverse etnie presenti che per i conflitti generati dalle ricchezze nascoste sotto il suolo, come il petrolio. Nel 2013 è scoppiata una nuova guerra civile, tutt’ora in corso, che ha causato oltre 50mila vittime e quasi due milioni e mezzo di profughi.
Il conflitto che sta devastando la nazione causa grandi sofferenze anche alla fauna selvatica. Numerose specie sono infatti vittime collaterali della guerra, gli animali vengono inoltre cacciati dagli abitanti per contrastare la carenza di cibo che affligge la popolazione. La minaccia principale per le specie più a rischio è però l’aumento del bracconaggio finalizzato alla vendita di parti animali.
Per contrastare questo fenomeno che rischia di compromettere lo straordinario patrimonio ecologico del Sudan del Sud, in cui avviene la seconda più grande migrazione al mondo di mammiferi terrestri e che ospita specie di importanza globale, come elefanti, giraffe, leoni e ippopotami, lo scorso 6 marzo il ministero della Conservazione della fauna e del turismo del Sud Sudan ha bandito tutte le forme di caccia alla fauna selvatica. Il provvedimento ha inoltre vietato il commercio di trofei di caccia e di prodotti ricavati dalla fauna selvatica, come pelle, carne, pelliccia e piume di uccello.
L’obiettivo della nuova direttiva, secondo quanto dichiarato da Thomas Sebit, vice portavoce del ministero della Conservazione della fauna selvatica e del turismo, è quello di reprimere il bracconaggio nei parchi nazionali del Paese. “Nei nostri parchi nazionali girano persone armate che uccidono animali a caso – ha affermato Sebit – senza discriminazione tra anziani e giovani e la bushmeat viene venduta nei mercati apertamente”.
Il Sudan del Sud, secondo il World travel and tourism council (Wttc), è una buona meta per l’ecoturismo. Oltre ai grandi mammiferi come elefanti, giraffe, leoni, bufali e ippopotami, il Paese ospita una delle più grandi zone umide del mondo in cui vivono circa quattrocento specie di uccelli. Nel 2013 l’industria del turismo rappresentava tuttavia solo l’1,8 per cento del pil nazionale secondo il Wttc. “Esortiamo i nostri cittadini a rispettare la legge – ha dichiarato Sebit – gli animali sono una risorsa e ci aiuteranno a rafforzare la nostra economia. Dobbiamo prestare particolare attenzione alla protezione delle specie a rischio di estinzione in modo che le future generazioni continuino a beneficiare della loro presenza”.
Lo scorso anno la Wildlife conservation society (Wcs) ha pubblicato un rapporto relativo alla prima valutazione aerea dell’impatto dell’attuale guerra civile del Sudan del Sud sulla fauna selvatica, finanziato dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) e relativo ai parchi nazionali di Boma, Badingilo, Nimule, Southern e Shambe. Dallo studio, condotto tra il 2015 e il 2016, è emerso che le specie più iconiche sono sopravvissute ma hanno subito un calo delle popolazioni. Il numero di elefanti è precipitato negli ultimi cinquanta anni, nella zona analizzata dalla Wcs sono stati rilevati appena 730 esemplari, mentre le giraffe, con poche centinaia di individui, sono a rischio di estinzione locale.
Nonostante il declino questi animali stanno sopravvivendo alla guerra civile e la nuova legge potrebbe rappresentare un importante passo avanti per la loro conservazione. “C’è ancora speranza per la fauna selvatica del Sudan del Sud – ha affermato Cristián Samper, presidente e ceo della Wcs – ma devono essere intraprese azioni concrete per garantire la protezione del patrimonio naturale del Paese, vitale allo stesso tempo per la fauna selvatica e le comunità locali, la corretta gestione dei parchi può infatti migliorare i mezzi di sussistenza e contribuire a stabilizzare la regione”.
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