
In un solo giorno l’esercito ha brutalmente ucciso più di cento manifestanti durante le proteste nel Myanmar, mirandoli anche “alla testa”.
La maggior parte dello stadio King Abdullah Sports City Stadium sarà riservato agli uomini e le donne saranno confinate in pochi settori.
È trascorso poco più di un mese dal 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, in occasione della quale la Lega Serie A di calcio aveva invitato i calciatori a scendere in campo con un segno rosso sulla faccia, per “dare un cartellino rosso alla violenza sulle donne”. “Il mondo del calcio deve sensibilizzare contro questi fenomeni – aveva commentato il presidente della Lega Serie A Gaetano Micciché – perché ha un ruolo molto rilevante nel dare il suo contributo”. Oggi quell’iniziativa simbolica sembra vacua e fragile come un’esuvia, la Lega calcio ha infatti deciso di far giocare la Supercoppa italiana in un paese che attualmente nega alcuni basilari diritti alle donne, l’Arabia Saudita.
La decisione ha naturalmente suscitato numerose polemiche e l’opposizione dei difensori per i diritti umani, soprattutto all’estero, che ricordano anche il recente omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso lo scorso ottobre in Turchia forse per volontà (concorso morale) del principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman. L’Arabia Saudita, dal 2015, conduce inoltre una spietata guerra per procura contro lo Yemen con un elevatissimo numero di vittime civili.
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In Arabia Saudita alle donne sono attualmente preclusi alcuni basilari diritti umani, in sede giudiziaria, ad esempio, la testimonianza offerta da una donna vale la metà di quella dell’uomo, le donne non possono inoltre viaggiare liberamente o sottoporsi a un’operazione senza l’approvazione di un parente maschio. In occasione della partita tra Juventus e Milan, che si giocherà il 16 gennaio nella città di Gedda, i biglietti riservati alle donne saranno un’esigua minoranza e comunque potranno assistere all’incontro da settori periferici dello King Abdullah Sports City Stadium. I biglietti sono stati divisi in due categorie, “Singles” e “Families”: i primi sono riservati ai soli uomini, mentre i secondi sia a uomini che donne. Il presidente della Lega calcio di Serie A ha tuttavia assicurato che “le donne potranno entrare da sole alla partita senza nessun accompagnatore uomo, come scritto erroneamente da chi vuole strumentalizzare il tema”.
Ecco il comunicato ufficiale della @SerieA per la vendita dei biglietti della #Supercoppa in #ArabiaSaudita.@SerieA prova vergogna nell’accettare che esistano settori dello stadio “riservati agli uomini”?
Per 7mln€ la @SerieA accetta regole contrarie alla nostra #Costituzione pic.twitter.com/nsd5k0i2fS— Vittorio di Trapani (@vditrapani) 2 gennaio 2019
Alla luce di questi eventi, che danneggiano l’immagine di un importante evento sportivo, perché la Lega ha deciso di giocare la partita proprio in Arabia Saudita? La risposta è piuttosto banale e scontata, per soldi. La nazione araba ha infatti siglato con la lega calcio un accordo annuale, con opzione per le successive due stagioni, per un totale di 20 milioni di euro.
Il legame tre i due paesi va oltre il calcio e, proprio per questo, molti credono che non bastino le pur fondate polemiche relative alla Supercoppa italiana per interrompere questo rapporto. L’Italia vende infatti all’Arabia Saudita forniture militari che verrebbero impiegate, tra le altre cose, nel conflitto in Yemen dove, secondo quanto riferito da Amnesty International Italia, Ofxam Italia e Medici Senza Frontiere, sono in corso gravi violazioni dei diritti umani. Si tratta indubbiamente di un accordo remunerativo, secondo quanto riportato dall’inchiesta del New York Times “Bombe italiane, morti yemeniti”, la vendita di armamenti ha fruttato al nostro Paese, solo nel 2016, 440 milioni di euro. Talmente remunerativo che, forse, la coerenza della Lega Serie A può passare in secondo piano.
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